V. Pellegrini

Amici filosofi, anche la scienza è dubbiosa
La fisica moderna non impone certezze, ma una visione probabilistica del mondo

Cari filosofi realisti, neorealisti, del pensiero forte. Le conquiste scientifiche del ventesimo secolo sono state così rivoluzionarie e complesse che è forse comprensibile la difficoltà del pensiero umanistico a considerarle e assimilarle

fino a renderle senso comune. Ma così continuando sarà inevitabile che la stessa discussione s’impoverisca. Insomma, forse è venuto il momento di fare un passo decisivo verso l’integrazione dei diversi saperi. Nicla Vassallo ammoniva del pericolo di un ritorno allo scientismo ed esaltava il dubbio come motore della conoscenza. Vero. Ma questo è proprio quello che la scienza moderna ci racconta della realtà. Dubbiosa perché dominata da eventi probabilisti ci, non da fatti certi. Facciamo un esempio. Se una tela di un unico colore fosse davanti a noi, non esiteremmo a proclamare: la tela è rossa. E così, a parte casi sporadici, farebbero altre persone poste dinanzi alla medesima tela. Ma se questa tela fosse dinanzi a un cieco, se anzi tutti noi fossimo ciechi, di che colore sarebbe quella tela? Rossa ancora? Con che grado di certezza potrei affermare senza osservarla che quella tela è rossa? Ecco. Questo è il nocciolo della questione. La scienza moderna ci insegna che ogni evento non osservato non avviene in modo deterministico ma manifesta la sua natura più intima in termini probabilistici. Forse è opportuno che filosofi e scienziati uniscano i propri sforzi per capirne le implicazioni profonde. Per fare un passo in questa direzione ci viene in aiuto il lavoro di un tizio che si divertiva a suonare bongo nei locali di spogliarelliste. Questo signore, Richard Feynman, era anche un fisico teorico e di successo, visto che vinse il Nobel per la fisica nel 1965 per aver inventato i diagrammi di Feynman, cruciali per calcolare le ampiezze di probabilità dei processi fisici. La congettura di Feynman fu quella di supporre che qualsiasi evento che compone la nostra realtà ha una infinità di storie possibili, ciascuna con una determinata probabilità che dimostrò calcolabile tramite un’elegante teoria matematica basata sul concetto dei path integrals (integrali di cammino). Un’idea piuttosto vincente e a tutt’oggi immune da numerosi tentativi di falsificazione. Impariamo così che per descrivere un “fatto” elementare come una particella che va da A a B, due punti dello spazio, dobbiamo ammettere come possibili un’infinità di cammini che la particella percorre per andare da A a B. Dal segmento in linea retta a quello, sicuramente meno probabile ma possibile, che parte da A gira intorno a B tre volte poi compie due giri intorno alla nostra galassia per poi arrivare a B. Per comprendere il processo fisico che porta la particella da A a B si devono considerare tutte queste storie possibili e sommare con pazienza le relative probabilità. Come, in effetti, se esse avvenissero in parallelo. Con questo approccio si spiega, per esempio, il fatto che singoli elettroni lanciati su uno schermo con due fenditure possono fare interferenza con loro stessi, effetto che implica che i singoli elettroni passano in contemporanea sia da una fenditura che dall’altra e senza dividersi, essendo l’elettrone indivisibile. Così anche per la tela del nostro esempio iniziale. Tutti i colori sono possibili. Ogni evento, il colore della tela o un particolare cammino della particella da A a B è un mondo possibile, è una storia possibile. Ma allora che fine fanno tutte queste storie possibili quando procediamo a osservarle? La fisica quantistica ci insegna che cessano di essere giacché con l’osservazione scegliamo, noi osservatori, una storia particolare. E così quando ci proponiamo di osservare in quale delle due fenditure è passato l’elettrone, il fenomeno dell’interferenza scompare perché di tutte le storie possibili ne selezioniamo una in particolare con la nostra osservazione. È questo l’inizio di una rivoluzione paragonabile a quella copernicana. L’osservatore determina la storia e non diversamente. E quindi cosa è il reale? Ciò che noi con l’atto di osservare determiniamo o il fondo di eventi probabilistici, di storie possibili, da cui noi osservatori attingiamo?

 

Il Fatto Quotidiano  23.9.11


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