Il mondo degli uomini senza qualità
Il più bello, il più intenso, pieno di significati che vanno al di là dell'epoca in cui fu scritto è il dialogo di Diderot che si intitola "Le Neveu de Rameau". Il protagonista è un tipo umano che l'autore delinea in tutte le sue sfumature facendolo parlare di sé per 150 pagine. Non è neppure un dialogo perché l'interlocutore che formula le domande e che è lo stesso Diderot si limita a sollecitare le risposte. Il protagonista non si fa pregare, è perfettamente consapevole di sé, del suo modo di vivere, dei suoi vizi, della sua intelligenza, della sua disumanità. Anzi: della sua amoralità. Non è immorale ma appunto amorale. Ha perso ogni cognizione della morale, ha cancellato il bene ed il male dal suo orizzonte mentale. I suoi vizi li usa quando sono utili al proprio interesse, altrimenti li tiene a guinzaglio, li reprime. Si maschera. Si presenta al mondo che lo circonda così come il mondo lo vuole. La dominante del suo carattere è l'utile, l'utile per sé.
Questo tipo umano, l'ho già detto, va molto al di là dell'epoca sua. Infatti è stato più volte raffigurato, con qualche differenza rispetto al prototipo che deriva dalle diversità di scrittura degli autori che sono rimasti affascinati da quel tipo umano che ha fatto della disumanità la sua divisa. Dostoevskij fece qualche cosa di simile scrivendo "Memorie del sottosuolo", dove il personaggio appare ancor più simile al prototipo, ma con un tratto di malvagità in più rispetto all'originale. Infine se ne occupò anche Rilke nei suoi "Quaderni di Malte Laurids Brigge", dove racconta che l'uomo dispone di molti visi. Esiste da qualche parte un deposito di visi. Quando una persona ha consunto il suo viso e desidera indossarne uno nuovo e diverso, va in quel deposito e ne trova uno che meglio si adatti ai suoi desideri e ai suoi bisogni. Alcuni ne cambiano molti nel corso della loro vita; altri ne consumano meno. Altri ancora, ma sono pochi, restano fino alla morte col proprio viso. Non è detto che siano i più fortunati. Nessuno degli autori di questo genere di letteratura ha però raggiunto l'eleganza letteraria e la profondità filosofica di Diderot e la ragione credo sia questa: Diderot sapeva che la morale non è scolpita una volta per tutte ma è un prodotto dell'epoca e quindi relativa. Sapeva anche che l'uomo ha scoperto il bene e il male nel momento stesso in cui ha perso l'innocenza in cui vivono tutti gli altri esseri viventi. Il "Nipote di Rameau", così l'uomo del sottosuolo, si disumanizzano e in questo modo riacquistano l'innocenza nel senso che perdono la cognizione del bene e del male. Non resta loro che l'istinto della sopravvivenza ed è questo soltanto che guida i loro comportamenti. Diderot aveva chiarissimi questi elementi conoscitivi ed è questa la ragione per cui il suo dialogo è un pezzo letterario di ineguagliabile potenza espressiva. I miei lettori si domanderanno perché ho citato ancora una volta il "Neveu de Rameau" (m'è accaduto di farlo in altre occasioni) e quale pertinenza esso abbia con l'attualità della quale dovrei occuparmi. A parte il fatto che la nostra attualità è da qualche tempo trita e ritrita e non presenta eccezionali novità, sta di fatto che il tipo umano (disumano) delineato da Diderot sta diventando al giorno d'oggi sempre più numeroso. È un settore della società in crescita esponenziale. Nella classe dirigente, ma anche nei ceti sottostanti. Del resto l'uomo del sottosuolo non fa parte della classe dirigente se non in funzione servile. Servile, ma essenziale: ne riecheggia i desideri, ne soddisfa i bisogni, si incarica di condurre a termine le operazioni abiette, è la controfigura dei potenti quando si tratti di questioni troppo delicate e rischiose. Funge anche da buffone di corte; per divertire il suo signore e ricordargli qualche spiacevole verità. Rigoletto è un altro tipico uomo del sottosuolo che però, se offeso nel profondo, riscopre la sua dignità e sa anche vendicarsi. Perciò servirsi senza il senso della misura di personaggi di tal fatta comporta anche qualche pericolo. Bisognerebbe chiedersi la ragione per cui la popolazione di quel tipo umano (disumano) sia tanto in crescita. La risposta è già stata data molte volte: insicurezza, paura del futuro, ripiegamento sul presente, percezione rachitica della felicità scandita sull'attimo d'un presente fuggitivo senza proiezioni verso l'avvenire, indifferenza diffusa verso la sorte degli altri, gelosia verso le fortune altrui, sopravvalutazione dei meriti propri. Furbizia nell'elusione delle regole. Cortigianeria. Crollo (apparente) delle ideologie in favore d'un pragmatismo diventato a sua volta ideologico. Vi basta? Molti di questi elementi psicologici fanno parte da gran tempo dei connotati italici. Ma in certi segmenti della nostra storia diventano dominanti e questo è uno di quei momenti. Ecco perché quel tipo umano (disumano) è diventato moltitudine. Con qualche picco rappresentativo. 22 novembre 2009
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