Privatizzare tutto: la soluzione sbagliata per salvare la cultura È con sollievo che si legge dei tormenti intellettuali tedeschi e francesi per i troppi soldi pubblici investiti nella cultura. Non si crea così un eccesso di offerta? Non si deprime la creatività degli artisti, non si uccidono le avanguardie con l’assegnino di Stato? In Italia questi problemi li abbiamo superati da tempo, grazie al cielo e a Berlusconi. Stiamo mandano in rovina il più grande patrimonio culturale del Pianeta, ma in allegria, senza drammi o troppe polemiche, organizzando piuttosto bellissime sagre culinarie in ogni angolo d’Italia, fuochi d’artificio perfino di giorno, festival su festival. La cultura in Italia gode di un disprezzo quasi unanime da parte delle forze politiche ed è ormai ridotta alla pura lotta per la sopravvivenza. Questo dovrebbe regalarci a breve nuovi Raffaello e Michelangelo, Dante e Boccaccio, nuovi Rossellini e De Sica e Fellini. Per quanto sia lecito dubitarne. Gli ultimi ministri della Cultura e dell’Istruzione, da Bondi a Gelmini, erano la negazione antropologica del concetto stesso di cultura e istruzione in una nazione moderna. L’Italia è scivolata in fondo alle classifiche internazionali nella ricerca scientifica, non si trova più una nostra Università nelle prime duecento del mondo in nessuna facoltà, la media dei laureati rimane inferiore non soltanto alla media delle nazioni ricche, ma anche a quella dell’Est europeo. L’incuria nella tutela del patrimonio artistico e del paesaggio ha contribuito a far perdere all’Italia cinque posizioni nella classifica del turismo mondiale, che significa perdere decine di miliardi di euro all’anno e milioni di posti di lavoro. Si sono persi posti di lavoro nel cinema, nel teatro e in tutte quelle attività culturali che secondo il cretinismo dei politici nostrani “non danno da mangiare”, ma ancora oggi occupano più persone della Fiat. La gran risposta a questo declino oggi è : privatizzare. Alla vigilia delle elezioni, fioccano i programmi neoliberisti che chiedono di vendere tutto ai privati. Palazzi, monumenti, musei, università, strade, parchi, energia, acqua e se si potesse anche l’aria. È da sempre il sogno dei capitani coraggiosi della nostra industria e del loro seguito giornalistico: smettere di confrontarsi con il mercato mondiale, la concorrenza, e sedersi in poltrona ad aspettare la grassa rendita delle bollette. Questo è lo stato dell’arte, dopo il ventennio dell’utilizzatore finale. Il massimo della cultura berlusconiana sono stati i telequiz. Chissà, fosse durato un altro anno, magari avrebbe messo Lele Mora ai Beni Culturali. |
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