Giovani d'oggi senza storia e senza utopia Scrive Günther Anders: "Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come i soggetti della storia, e al nostro posto abbiamo collocato un solo altro soggetto: la tecnica" Siamo i genitori di una universitaria e siamo dei cittadini che sentono fino in fondo il peso della responsabilità per aver comunque contribuito alla crescita delle nuove generazioni. Gli anni della nostra gioventù sono stati anni ideologizzati, percorsi da brividi rivoluzionari ricchi di cultura e di richieste di estensione dei diritti. "L'orgoglio dell'essere" era la chiara percezione esistenziale che ci indicava un percorso così ricco e condiviso da far sentire la nostra gioventù quasi un'opera d'arte in piena evoluzione. Il percorso fu bruciato dal fuoco degli anni di piombo e "l'orgoglio dell'essere" fu violentemente ribaltato dalla "logica del fare". Ridotti alla miseria esistenziale della mera logica produttiva, fantasmi di un palcoscenico faustiano, alcuni, credettero che dietro quel "continuum del fare" ci fosse l'elisir della giovinezza e dell'eternità e forse inconsapevolmente, privarono i nostri figli dell'Utopia. Ma l'Utopia è parte integrante del pensiero umano e nessuno la può rubare. Chi lo tenta di fare, è il mostro che non vuole invecchiare. Gran parte della classe politica di oggi, così miseramente autoreferenziale, è quell'essere faustiano. Crudele e patetica, come lo è ogni mostro, vorrebbe oggi rubare a quelli che sono i veri giovani, il legittimo sogno di un futuro, e interrompere la loro naturale crescita esistenziale. È un atto contro natura. I giovani hanno nel sangue i germi del sogno e dell'Utopia, il diritto a pensare un proprio futuro e a crescere nel bisogno di edificarlo. Noi, mamma e papà e cittadini, proviamo nei loro confronti un senso di grande solidarietà e crediamo che tutti i genitori non possano assistere impotenti alla spietatezza della negazione e della repressione dei propri figli e del futuro della giovane generazione. Antonella Cristofaro e Marco D'ercole (antonellacristofaro10@gmail.com). Gli anni della vostra e della mia giovinezza, gli anni del Sessantotto per intenderci, non erano anni solo "ideologizzati" o "velleitariamente rivoluzionari" come si è soliti sentir dire oggi con disprezzo dai rappresentanti della cultura egemone ispirata al "sano realismo". Quelli erano anni in cui ancora era possibile credere nella "storia" come a un tempo fornito di senso, suscettibile di "progresso" che, come ricordava all'epoca Pasolini, differisce dallo "sviluppo" perché, mentre quest'ultimo è un semplice aumento quantitativo di disponibilità, il progresso è un miglioramento qualitativo del nostro modo di vivere. Oggi alla "storia", che prevede l'uomo come suo soggetto, sono subentrati da un lato la "tecnica" che prevede l'uomo come suo semplice funzionario, e dall'altro il "mercato" alle cui leggi la condizione umana deve adeguarsi. A differenza della storia, tecnica e mercato non hanno altro senso se non il loro rispettivo auto-potenziamento, a prescindere dalla maggiore o minore felicità dell'umano, le cui sorti fuoriescono dallo scenario da loro dispiegato. Questo è il grande capovolgimento avvenuto negli anni successivi alle utopie del Sessantotto, dove col termine "utopia" si deve intendere quella forza che muove anime, azioni e comportamenti verso uno scopo, a prescindere dalla sua realizzabilità. Questa forza è essenziale per dar senso alla propria vita. E di questa forza sono stati privati i giovani di oggi che sostanzialmente per questa ragione si anestetizzano, se non tutti nella droga, spesso nell'inedia e nel disinteresse generalizzato, giustificato dal fatto che nessuno, ma proprio nessuno, si interessa di loro. Le manifestazioni studentesche del dicembre scorso, col pretesto della riforma Gelmini, in realtà urlavano questa mancanza di storia, di senso, di utopia. Il fatto che, ad eccezione del Presidente della Repubblica, la classe politica non li abbia ascoltati evidenzia non solo l'assoluta incapacità o il totale disinteresse di questa casta a capire quanto male stanno i nostri giovani, ma anche e soprattutto la sensazione che, rispetto alla tecnica e al mercato, la politica, per usare un'espressione di Giacomo Marramao, si percepisce come un "sovrano spodestato" che stenta persino a riconoscere i territori su cui un tempo regnava, per non parlare del mondo della vita che li animava. Ed è il mondo della vita che i giovani vogliono e pretendono, al di là della rigorosa razionalità della tecnica e del mercato, a cui non sembra interessi gran che la sorte dei giovani, per non parlare dell'umanità in generale. La Repubblica 26 febbraio 2011 |
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