Umberto Galimberti

Professore ma che me ne faccio di Dante ?
Racconta la tradizione che, quando chiesero ad Aristotele:<<A cosa serve la filosofia?>>, la sua risposta fu:<<A nulla, perché la filosofia non è una serva>>

La prima lezione di letteratura per un insegnante di liceo è la più difficile. Lo è perché, nel tentativo di spiegare cos'è la letteratura, si troverà a rispondere alla domanda: "A cosa serve la letteratura?", che puntualmente gli studenti gli porranno. Mi sono trovato a dover convincere i ragazzi che quello che avremmo letto e studiato tutto l'anno sarebbe servito a qualcosa, e con mille citazioni, più o meno colte, e più o meno adeguate, ho tentato pure di dire a cosa. Mi sono sentito spesso un pazzo, che scimmiottava qualche strampalato professore da film, e penso alla fine di non aver raggiunto il mio scopo. I ragazzi hanno sì apprezzato la prima lezione, ma già alla quarta o quinta il commento: "Ma cosa me ne faccio di Dante?" era trattenuto a stento. Lei come convincerebbe i giovani di oggi dell'importanza e dell'utilità della lettura? Cosa direbbe, o farebbe leggere loro? Perché i ragazzi chiedono l'utilità di ogni materia ("Che me ne faccio dell'analisi logica?", "A che serve la storia?"), come se avesse senso studiare solo quello che immediatamente garantisce un tornaconto? Prof. D. Dal momento che vent'anni di televisione commerciale hanno fatto perdere ai nostri ragazzi qualsiasi interesse per la cultura, e dal momento che il denaro è diventato, soprattutto negli ultimi anni, il generatore simbolico di tutti i valori, è ovvio che, non capendo più che cosa è bello, che cosa è buono, che cosa è giusto, che cosa è sacro, i nostri ragazzi capiscano solo che cosa è utile. E da questo punto di vista la letteratura è proprio inutile. Anche se ogni cosa è utile a qualcos'altro, e questo qualcos'altro è utile a qualcos'altro ancora, per cui se non si approda a qualcosa di inutile, tutte le catene di utilità diventano insignificanti e prive di senso. Ma siccome questo è un ragionamento e i giovani d'oggi non sono particolarmente attratti dai ragionamenti, lei, caro professore, potrebbe informare i suoi allievi che la letteratura serve per educare i nostri sentimenti, che non abbiamo come dote naturale ma come evento culturale. La natura infatti ci fornisce gli "impulsi" che hanno come loro espressione non la parola, ma i gesti. Il bullismo, per esempio, non è un fenomeno di mancata educazione, ma un vero e proprio arresto psichico di chi non si è evoluto dall'impulso per pervenire all'emozione. L'"emozione" è già un evento psichico che segnala la risonanza emotiva che gli eventi del nostro mondo, e le risposte che noi diamo a essi, producono in noi. Quando i nostri giovani dicono che al sabato sera in discoteca si calano una pastiglia di ecstasy per "emozionarsi", segnalano che per passare dall'impulso all'emozione hanno bisogno della chimica. E così denunciano che la loro psiche è apatica e non registra alcuna risonanza emotiva a quanto in generale avviene intorno a loro. Quanti delitti o spaventosi atti di crudeltà avvengono senza movente, per la mancanza di una risonanza emotiva relativa ai propri gesti che i nostri ragazzi chiamano "noia"? Dall'emozione si passa al "sentimento", che non è un tratto naturale, ma culturale. A differenza dell'emozione, il sentimento è un elemento cognitivo. Kant dice ad esempio che la differenza tra il bene e il male ognuno la "sente" naturalmente da sé. Le mamme capiscono i bisogni dei loro neonati, che ancora non parlano, perché li amano. Gli innamorati capiscono il significato recondito di ogni gesto dell'altro, perché si amano. Tutti i popoli hanno imparato i sentimenti attraverso narrazioni mitiche. Se guardiamo l'Olimpo degli antichi Greci, vediamo che gli dèi altro non sono che la descrizione delle passioni e dei sentimenti umani: Zeus il potere, Atena l'intelligenza, Afrodite la sessualità, Ares l'aggressività, Apollo la bellezza, Dioniso la follia. Senza più dèi, oggi impariamo a conoscere i sentimenti attraverso la letteratura che ci insegna cos'è l'amore in tutte le sue varianti, e cosa sono il dolore, la disperazione, la speranza, la noia, lo spleen, la tragedia, la gioia. Una volta appresi questi sentimenti, siamo in grado di conoscere quello che proviamo, e, grazie alla descrizione letteraria, anche il corso e l'evoluzione del nostro stato d'animo. Questo è molto importante, perché è angosciante soffrire senza sapere di che cosa, così come suicidarsi perché l'angoscia non conosce il percorso dei sentimenti e il loro approdo, che un tempo i miti descrivevano, e oggi la letteratura descrive.

La Repubblica 27 agosto 2011