Così la nostra individualità diventa solo una somma di gusti
Se, come sostiene Rem Koolhaas, architetto e teorico "a la mode", oggi l´unico spazio riservato alla cittadinanza è lo shopping, allora stiamo vivendo in una società in cui l´unico margine riservato alla libera espressione democratica è quello delle scelte "di gusto". Questo scivolamento dalla dimensione etica a quella estetica sembra essere l´ultima conseguenza del trionfo dell´individuo: a cui non interessa più ciò che è giusto e conveniente per se e per i concittadini, ma ciò che gli piace. O meglio, direbbe Pierre Bourdieu, ciò che lo "distingue", una delle ossessioni classiche delle borghesia. Sembra che le reti che usiamo quotidianamente premino questo narcisismo in un modo parossistico, scambiando ogni nostro accenno per una tendenza , al punto da produrre effetti comici. Se cerchiamo su Google fonti sulla vita di Leopardi, spuntano i B&B (bed an breakfast) di Recanati, ma anche i rimedi per la gobba, oltre alle offerte scontate delle opere del poeta. Quelli del gruppo Ippolita che hanno scritto per
Feltrinelli un ottimo testo per orientarsi nelle
questioni politiche legate alle reti dicono che per quanto possiamo avere l´impressione di essere sorvegliati e conosciuti da un Super-Occhio in realtà se si mettono insieme i vari e discordanti profili che nascono dalle nostre tendenze vere e false di consumatori di noi si capisce davvero poco. Per un sito siamo dei patiti dello yoga, per un altro dei fan dello spritz, per altri ancora, per il solo fatto di essere uomini, delle persone che possono essere interessate all´allargamento del pene.
Sono profili che servono certamente a organizzare produzioni mirate, ma credere che ci sia qualcuno che mette insieme tutte queste informazioni per sapere chi siamo è una ideologia classica di chi amerebbe che fossimo davvero vittime del Grande Fratello. In rete c´è molta più anarchia, confusione e incertezza di quello che possiamo credere. In più se è vero che a molti di noi fa piacere essere consumatori personalizzati, appartenere a tribù di collezionisti di viaggi in oriente, wargames, mutande fatte a mano e cibo bio, però questa è solo una parte di noi. E le reti sono dirette dalle tendenze reali delle società e non il contrario. L´uso di twitter e di facebook nelle rivolte nord-africane e mediorientali ce lo insegna. Chi lavora nel campo della pubblicità sa bene che il consumatore passivo non esiste. La personalizzazione è una conseguenza di questa scoperta. E il fatto che l´offerta di pornografia online cerchi disperatamente di trasformarsi in consumo personalizzato senza molto riuscirci rivela che anche in queste nicchie (che non lo sono dal punto di vista economico) il consumatore è poco prevedibile. E´ un merito dell´antropologia avere svecchiato la visione meccanicista del consumo e quella cattolico-marxista del consumatore come stupida marionetta. E´ stata Mary Douglas in Inghilterra negli anni 70 a farci capire che la gente esercita delle scelte che diventano scelte di consumo, ma che ne presuppongono altre di valore. E dopo di lei un genio come David Miller ha inaugurato quelli che vengono chiamati "Cultural Studies" proprio partendo dall´analisi del ruolo del consumatore come innovatore. Famoso il caso della Coca Cola che nell´isola di Trinidad è diventata il simbolo di un riscatto dell´identità afro o nelle comunità del Chiapas è diventato liquido lustrale per i riti maya nelle chiese. Perfino uno strumento come la televisione si è rivelato in questa nuova ottica, nel lavoro dei "Media Studies" come qualcosa di cui gli utenti si servono per ridefinire la propria identità, da Al Jazeera alle tv kurde alle moltissime tv indigene. Con Stefano Savona lavorammo qualche anno tra gli squatters della Città dei Morti del Cairo per accorgerci di come i serial televisivi egiziani fossero fruiti ( spesso con i televisori messi sulle tombe) come conferme di una identità, ma anche come messa in discussione di essa. La tendenza alla personalizzazione non è solo una strategia di mercato, è l´effetto di un cambiamento generale. Non ci sarebbe se non ci fosse stata l´accelerazione della mondializzazione, gli enormi spostamenti di popolazione dovuti allo sconquasso del mondo, la mobilità accresciuta.
Tutto questo ha creato e provocato una nuova tendenza al localismo, all´identità parcellizzata, all´identificazione con una maniera di essere, un bisogno generale di non confondersi con la massa. Sono gli emigrati i primi a voler personalizzare il proprio consumo ed il simbolo ne sono le antenne paraboliche che compaiono sulle baracche più povere alla periferia delle grandi città. Questa trasformazione ha pro e contro, presta il fianco ai comunitaristi e ai fondamentalismi, ma anche alle dignità indigene, alla ripresa della propria storia personale e collettiva. Certamente ha un cotè "fashion" che tocca i ricchi, ma è solo la punta dell´iceberg. Se andate nel negozio costruito da Rem Koolhaas a Manhattan per Prada e scegliete un paio di mutande, poi nel camerino, allo specchio, vedete voi stessi e una simulazione di tutti i capi di vestiario che andrebbero bene per voi con quelle mutande. E´ il solito ritornello: se vi piace questo, allora vi piacerà anche…… La Repubblica 20agosto 2011 Home page > Etno-antropologia e letteratura > |
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