Digito ergo sum

Immagini e non parole. Realtà vera confusa con quella virtuale. Un filosofo spiega perché ci siamo imbarbariti.

È nel vagone affollato di un treno ad alta velocità che si coglie l’immagine plastica di quanto i nuovi media abbiano cambiato l’uomo contemporaneo: “Tutti i viaggiatori, nessuno escluso, armeggiano da ore col telefonino, senza interruzione. Strusciano il dito sullo schermo, premono tasti, fanno chiamate, provano e riprovano numeri che non hanno risposto, aprono e chiudono il coperchio, ogni tanto tirano fuori il telefonino e gli gettano uno sguardo, come per assicurarsi che dal piccolo schermo non sia uscito qualcosa di cui non si sono accorti”. La scena non cambia allungando lo sguardo nel corridoio dove, “salvo quelli che dormono, tutti sono presi da operazioni somiglianti: parlare e ascoltare servendosi di un qualche apparecchio, digitare numeri, far scorrere sullo schermo immagini, guardare film”.

La piccola bolgia di condannati ad una coazione informatica che non ammette soste è l’espediente narrativo con il quale Raffaele Simone afferra il lettore nelle prime pagine del suo bel saggio “Presi nella rete. La mente ai tempi del web” uscito poco fa da Garzanti. Ma chi vuole continuare a leggere per scoprire cosa sta accadendo alla nostra mente e a quella dei contemporanei, dovrà fare lo sforzo di riconvertire la propria intelligenza all’antica capacità “sequenziale”. Dovrà cioè usare quella intelligenza lineare e alfabetica che rispetta il tempo, ha un prima e un dopo, e ci permette di mettere in fila parole e concetti. Dovrà quindi sospendere la nuova intelligenza “simultanea”, vale a dire l’attitudine a cogliere gli eventi disparati che avvengono contemporaneamente su un qualche schermo.

Già con questi pochi accenni, Simone, docente di Linguistica all’Università di Roma, saggista prolifico e anche autore di un romanzo sugli ultimi giorni di vita di Cartesio (“Le passioni dell’anima”), mette qualche allarme. Chi di noi non si sente, almeno in parte, un mutante verso la simultaneità; chi ogni tanto non abbandona la “fatica di leggere” per la “facilità di guardare”; chi non si fa accompagnare dai suoi tanti o pochi schermi? Ma se pure vedessimo tirarci fuori e tenerci stretta la nostra vecchia intelligenza, Simone non ci dà vie di scampo: “Siamo immersi in una specie di arretramento collettivo alla prima fase dell’intelligenza dell’uomo, quella legata alla visione e al racconto orale, che fu superata dall’avvento della scrittura”, spiega e aggancia la sua analisi all’evoluzione umana: “Già Platone, che considerava il discorso scritto il “figlio bastardo” di quello parlato, intuì gli effetti che alcuni media possono avere sulla mente, mentre secoli dopo nessun contemporaneo si occupò di indagare le conseguenze mentali dell’invenzione della stampa. Oggi, che siamo pienamente nella Terza Fase, è necessario fare i conti con il nuovo orizzonte in cui è entrata la nostra mente e, soprattutto, quella dei nostri figli”.

Un primo conto Simone lo fa introducendo il concetto di “esattamento”, termine tratto dalla biologia per indicare il processo in cui sono gli organi a creare la funzione (nascono le ali con le quali più tardi l’uccello scoprirà il volo), che è poi il contrario dell’”adattamento” dove, come è noto, è la funzione che crea l’organo. Ebbene, l’avvento della tecnologia e dell’informatica ha dato luogo “a un gigantesco esattamento della specie”. Il compito di capire in quale profondità dell’uomo si nascondeva l’incessante bisogno di comunicare che ci ha colpito tutti, viene lasciato da Simone agli psicologi, ma la fotografia del presente è netta: si è sviluppato un atteggiamento compulsivo verso i media che ha modificato i nostri comportamenti e, appunto, la nostra mente verso una semplificazione e un’approssimazione tutta visiva.

Stiamo insomma diventando più stupidi? Anche se apre il libro proprio con questa domanda volutamente retorica, Simone non vuole emettere condanne definitive e sposta l’accento sulle sorti della conoscenza. E qui le cose vanno piuttosto male: la perdita dell’esperienza interiore del tempo e dello spazio indotta dai nuovi media ha già fatto i suoi guasti e cambiato in profondità il modo di formarsi della conoscenza. “In quarant’anni di insegnamento”, dice a “L’Espresso”, “ho potuto osservare un campione di circa 6 mila studenti. Negli ultimi vent’anni ho calcolato una diminuzione cognitiva di una gradino all’anno. Va scemando quella che si chiamava “cultura generale”. Le conoscenze sono “irrelate”, cioè composte di tanti frammenti, che chiamerei straccetti, di fonti varie e incongrue. Possono provenire da un testo importante, da un film o da un brano di dubbia qualità pescato in Internet”.

Un test significativo di questo processo di assemblaggio acritico è nelle tesi di laurea: “Non c’è più lo studente che passava mesi e mesi in biblioteca a fare ricerche. Oggi il ragazzo che prende un tema di tesi in una facoltà umanistica, batte subito qualche parola chiave su Google e guarda ciò che viene fuori. Però non sa se quelle cento o mille voci che ha dinanzi sono moderne, antiche, sintesi approssimative, riassunti o elaborazioni dotte, e finisce per citare la “Metafisica” di Aristotele al pari di una bufala. Inoltre non riesce a legare il tutto con un filo conduttore, mette insieme pezzi privi di collegamento sperando che il malloppo faccia poi unità. Il copia e incolla, che all’inizio era una semplice pratica di scrittura,  è insomma diventato un’epistemologia”.

E noi, professore? Noi che a suo tempo abbiamo studiato sui testi, abbiamo toccato le pagine di carta, noi che rimaniamo aggrappati all’intelligenza sequenziale, noi almeno siamo salvi da questa deriva epistemologica? Solo in parte, miei cari, ci avverte un po’ sadicamente, tra le righe, Simone: voi potete pure cercare Aristotele nei bei tomi dei vostri scaffale, ma chi vi salverà dall’immersione nel falso o, peggio, nel fasullo?

Pare infatti che una funzione essenziale del mondo digitale, che Simone ha ribattezzato felicemente “Mediasfera”, sia pompare il fasullo nelel nostre vite creando fatti e proponendoceli come veri: “Si pensi alle innumerevoli esibizioni di angherie e crudeltà che passano in Rete, a cominciare dai filmini del carcere di Abu Ghraib che erano messe in scena appositamente per essere diffuse. È un fenomeno in crescita, una vera e proprio perversione, e tra le più inquietanti perché tra cosa vista e cosa vissuta non c’è più differenza. È il fenomeno per cui nel 2004, a pochi giorni dallo tsunami che uccise migliaia di persone nell’Oceano Indiano, molte persone andarono ugualmente in vacanza nei villaggi devastati. Vedevano il disastro accanto a loro ma lo vivevano come se fosse su uno schermo televisivo”.

Dunque non c’è scampo: l’intelligenza regredisce alla fase primitiva, le conoscenze si affastellano senza essere interiorizzate, il pensiero non sa più interpretare le immagini. Ci resta solo una consolazione. Siamo ancora capaci di raccontarvelo pescando le ultime capacità della nostra antiquata “intelligenza sequenziale”.

L'Espresso 5 luglio 2012

di Stefania Rossini

Simone e Cartesio
Raffaele Simone ha 68 anni, è nato a Lecce ed è considerato uno dei massimi studiosi mondiali di filosofia del linguaggio. Oltre alla sua materia (è ordinario di Linguistica generale all’Università di Roma Tre) ha studiato matematica e diritto. Autore di numerosi saggi, è stato animatore e collaboratore di riviste, tra le quali “Golem”, dedicata a tecnologie informatiche dell’apprendimento, “Rivista di linguistica”, “Cahiers de Lexicologie”.
Ha diretto opere come il “Dizionario dei sinonimi e dei contrari”, Treccani, e il “Dizionario analogico della lingua italiana”, Zanichelli. Ha pubblicato per Garzanti il romanzo, “Le passioni dell’anima”, sugli ultimi mesi di vita di Cartesio.