Un semiologo affronta un tema antico ma molto attuale: gli indizi che denotano poca intelligenza. Dilemma: chi è lo stupido? E perché? Tutti sanno cos’è la stupidità. Ma al momento di definirla nascono, come per il tempo secondo Agostino, seri problemi. È evidente che a esser cretino non è il tizio che non sa nulla di teoria economica, non conosce le tabelline o non è in grado di capire le trame della politica internazionale. Ci sono ignoranti intelligentissimi e sapientoni del tutto imbecilli. E i test d’intelligenza conducono spesso a esiti imbarazzanti: danno risultati alti a chi non è capace di comportarsi in pubblico o di ridere per una barzelletta. Ricordava Musil in pieno nazismo, non c’è peggior stupido di chi dichiara con orgoglio la propria intelligenza. Per non dire che stupidi ce n’è di tanti tipi. Nel Pendolo di Foucault Eco per esempio ha distinto quello che si da il gelato sulla fronte (cretino) dal gaffeur dei salotti (imbecille), l’illogico (vero e proprio stupido) da chi delirando riesce a inventare cose nuove (matto)…Il fatto è che, checché se ne pensi, la stupidità non ha basi biologiche ma determinazioni culturali, non dipende dalla logica o dalla psicologia poiché cambia le proprie fattezze nella storia umana e nella geografia sociale. Sciascia, sottovoce, rimpiangeva i bei cretini di una volta, osservando come oramai la stupidità si ritrovi facilmente anche a sinistra. E davvero, quando c’era lo scemo del villaggio, eroe felice del folklore, era tutto più semplice. Stava ai margini della società, era incapace di fare e di capire, ma ogni tanto, per volontà o per caso, indicava il re nudo. Dando mostra di una furbizia tutt’altro che ingenua. Poi però, medicalizzando la questione, l’hanno rinchiuso nei manicomi, dai quali è uscito un po’ malmesso grazie ai media: che il villaggio, diceva Mc Luhan, hanno reso globale. Non che i media siano stupidi, per carità, ma è certo che di scemenza altrui si sono molto nutriti, credendo in un piccolo bue (detto anche audience) che loro stessi, agitandosi, foraggiano a più non posso. Così siamo arrivati a internet, ai blog, ai social network, che autori come Pierre Lévy chiamano intelligenza collettiva, mentre altri come Nicholas Carr accusano di renderci incurabili idioti, modificando a colpi di tweet e di like i nostri neuroni. Ma il problema, forse, non sta nei nodi di una rete che tutto contiene e tutto nasconde. Sta più a monte: in una razionalità esasperata che, applicata al sociale, da luogo a leggi palesemente idiotie. L’insonnia della ragione, ribaltando Goya, genera mostri. Lo stupido, avevano colto Flaubert e Baudrillard, non è chi va contro le regole ma chi le rispetta a menadito, rimandando responsabilità e raziocinio a un’autorità potente e invisibile.
Ce lo chiede l’Europa, sentiamo ripetere da ogni parte, nelle riunioni di condominio, nei consigli scolastici, nelle assemblee di partito, nel talk show televisivi. Ma che cosa ci si chieda esattamente e, soprattutto chi ce lo chiede, nessuno lo sa. Diceva quell’imbecille di Forrest Gump, stupido è chi lo stupido fa. “Il Venerdì” 4 settembre 2015 Gianfranco Marrone Home page > Etno-antropologia e letteratura > |
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