Se non sei tu a cambiare il mondo chi ti aspetti che lo faccia ?

Non si tratta di istinti da buon samaritano né di puro altruismo. Dal momento che tutto è connesso, aiutare gli altri significa inevitabilmente aiutare se stessi. Al livello più alto c’è differenza tra egoismo e altruismo. È una partita di ping pong karmica. Tutte le nostre azioni ci tornano indietro.
Ma è più facile convertire l’abominevole uomo delle nevi al surf che trovare persone che osino sognare in grande. Sono allergico alla gente che comincia a parlare dicendo “nel mio piccolo…”, e starnutisco spesso, perché ne trovo ovunque. Non c’è uno di noi che non ne conosca qualcuno. Forse sono intelligenti e forse hanno anche talento, ma hanno un problema. Sono piccoli. Pensano piccolo. Agiscono piccolo. Sognano piccolo. Sono quello che succede quando un dio giardiniere prova a fare bonsai usando essere umani. Sono i pigmei dell’anima, i fans del minimalismo. Qualunque età abbiano, sono membri onorari dell’atroce generazione X. Sono gli artisti da salotto, i giocatori che nel momento caldo passano ad altri la palla decisiva, sono industriali falliti che divengono maestri di reiki (scusate se l’ultimo esempio non c’entra, ma certi tipi di maestri di reiki mi stanno proprio sulle palle). Troppo pavidi per seguire fino in fondo le proprie visioni, accettano di divenire il surrogato di ciò che potrebbero essere.
Anche alcune delle persone migliori che conosco vivono all’insegna del “voglio soltanto fare la mia piccola cosa”. Soddisfatti di essersi ritagliati una piccola isola felice nel mezzo dell’oceano delle disarmonie circostanti, guardano la vita dal loro posto in platea. Ho talmente tanti amici che hanno fatto questa scelta, che nemmeno mi stupisco più. È vero che la cosa non mi scandalizza, ma considero quest’attitudine una delle principali ragioni dietro la mediocrità dello stato delle cose. Per le persone creative, spesso la bellezza del proprio mondo interiore può anche essere un handicap. Troppo presi dall’esperienza soggettiva per imparare a muoversi a passo di danza nel mondo fisico. Il risultato è che – limitandosi a coltivare il proprio mondo spirituale – le persone più sensibili lasciano a quelle più rozze la gestione della realtà collettiva. Realisti senza slanci o sognatori fuori dal mondo. Questa è una dicotomia masochista oltre che pericolosa. Accettarla equivale a un harakiri spirituale.
Ci vuole un surfer emotivo per ricomporre questa frattura che lacera l’armonia degli individui e del pianeta. Qualcuno che sappia cavalcare in equilibrio tra le onde dello yin e dello yang. Un poeta guerriero. Un samurai hippie. L’ultima immagine non è solo una metafora, ma è la radice dell’essere umano che può riscrivere le regole del gioco. Il ricatto degli stereotipi ci vuol far credere che possiamo essere una cosa soltanto. O pragmatici o visionari, o romantici o realistici, o artisti o atleti. Se crediamo a questo ricatto e cadiamo nella trappola dei ruoli, ci votiamo a essere dei mezzi uomini. Specialisti senza visione globale. Frazioni della divinità felice che dimentichiamo di essere.
Al contrario, il samurai hippie è il tao perfetto. È un samurai dolce che sorride e danza leggero al chiaro di luna. È un hippie affidabile, organizzato, che arriva puntuale agli appuntamenti e che ha la lucidità per dirigere un impero economico. Il samurai hippie è ciò che lo yin e lo yang si dicono quando vanno a cena insieme. È la sintesi tra leggerezza ed efficienza. Una ricetta di sensualità mistica e muscoli zen. Sto scherzando? Mi sto lasciando andare al lirismo dei paradossi? Neanche per sogno. Il samurai hippie è l’unione di due archetipi che non dovrebbero suonare nuovi agli artisti marziali. È un artista ed è un guerriero: un artista marziale. Un hippie che non conosca il codice d’onore e la potenza guerriera di un samurai è prigioniero dei propri limiti quanto un samurai che non sappia rilassarsi, scherzare, giocare con i bambini e lasciarsi andare a risa sguaiate mentre suona l’ukulele. L’uno senza l’altro può anche essere brillante e ammirevole, ma non va molto lontano. Affrontare la complessità moderna secondo gli archetipi classici dell’hippie sballato o del samurai, pronto ad affrontare chiunque gli attraversi la strada, sarebbe anacronistico nel migliore dei casi e soltanto patetico nel peggiore. Oggi in tutto il mondo c’è un enorme bisogno di far risorgere lo spirito guerriero, ma la soluzione non è adottare i comportamenti dei guerrieri del passato. I talenti del guerriero classico da soli non bastano a superare i conflitti contemporanei.
Abbiamo bisogno di un’alchimia nuova. Il nuovo guerriero può nascere solo da sintesi azzardate, da matrimoni improbabili come quello tra hippie e samurai. Non si tratta di scendere in battaglia contro il Nemico, un supercattivo uscito da un film di James Bond, che opprime il mondo intero. Sarebbe facile se fosse così, ma la realtà è molto più articolata. Squallore e mediocrità ne uccidono di più della più spietata tirannia. Per camminare, oggi, lungo la via del guerriero senza divenire soltanto una caricatura del passato, ci vuole un guerriero che sia anche un visionario. Creare occasioni, eventi e nuovi modi di vita è il nostro modo di dare battaglia. La sfida non è distruggere, è creare. Un guerriero è un maestro nell’affrontare i conflitti, e il conflitto è ciò che si frappone fra noi e il compimento dei nostri desideri. Ma per riscattare se stesso e il mondo dall’infelicità di un sistema di vita depresso, il guerriero deve sapere fare di più che limitarsi a combattere circostanze specifiche. Per andare al cuore dei problemi, bisogna avere l’immaginazione per reinventarsi il Mondo. Il Nemico che ci incatena non è un individuo, un partito politico o una religione. L’intera struttura sociale che abbiamo creato è il problema. Forse ancora più in profondità, è il nostro modo di concepire la vita: la necessità di una spiritualità autentica, il nostro rapporto con la natura, l’uso che facciamo della tecnologia, i lavori a cui ci dedichiamo, la gestione del tempo, le case in cui viviamo, le relazioni umane. Questi sono i campi dove si combatte la battaglia. Un cuore immenso, il dono della sintesi e uno sguardo ampio sono le nostre armi.
Siamo partiti chiacchierando di arti marziali e ora siamo finiti ad avere tra le mani il destino del mondo. Non siamo arrivati a questo punto perché ci siamo persi abbandonando la strada, ma perché seguiamo davvero lo spirito delle arti marziali, è inevitabile giungere qui. “Creare armonia è la via del guerriero”, scrive Ueshiba. Le arti marziali sono l’arco e la freccia, ma il bersaglio è la creazione dell’armonia dentro e fuori di noi. Esistono altri mezzi per colpire il bersaglio, poiché essere guerrieri è prima di tutto uno stato d’animo.
Ci sono centinaia di modi per essere guerrieri. Alce Nero o Ken Kesey, solo per citare un paio di esempi, non sono meno guerrieri di Ueshiba. Essere vissuti in continenti ed epoche diverse non cambia la sostanza. L’uomo di medicina Lakota, il profeta psichedelico e il creatore dell’aikido, condividono lo stesso spirito e le stesse visioni. Nel cuore di tutti coloro che sono guerrieri batte la stessa visione. Se vogliamo avere una possibilità di successo a ricreare il mondo che ci circonda, non possiamo lasciarci dividere dalle diversità. Chiunque miri allo stesso bersaglio a cui noi miriamo è un guerriero. Lo dobbiamo alla vita, alla terra e a noi stessi. Se non siamo noi a farlo, chi lo farà al nostro posto?
Osho dice: “Sii realista, fai piani per un miracolo”.


da: A. Bolelli “La tenera arte del guerriero” Ed. Castelvecchi