Antropologia letteraria

Gli studi di antropologia letteraria, nella loro forma attuale, si occupano dell’analisi del testo letterario, inteso come specifico strumento di ricerca antropologica. Il ritrovato collegamento tra studi antropologici e letteratura si fonda sulla scoperta della dimensione autonoma della scrittura, intesa come strumento d’interpretazione della realtà e non solo come mera descrizione di essa. Il testo diviene il luogo in cui la ricerca scientifica e il media letterario si uniscono creativamente, poiché il mezzo letterario, grazie alla sua capacità rappresentativa, si presta in maniera esemplare ad un’analisi delle caratteristiche umane e ad una riflessione sulla natura umana e sui cambiamenti intervenuti nel corso del tempo, trasponendo il risultato della ricerca antropologica entro quella che è stata definita la metafora viva del testo (Ricoeur 1975). Pur essendo un campo di studi recente, l’idea originale va rintracciata nel XVIII secolo, agli esordi degli studi antropologici. Contrariamente alla tendenza illuminista, intenta a separare la parte animale dell’uomo da quella spirituale, l’antropologia si proponeva di studiare l’humanum, nella sua originale unione di mente e corpo. L’antropologia si trovò subito assai vicina ad un altro settore della ricerca, che durante la seconda metà del Settecento prese rapidamente piede in Europa, l’estetica. Entrambe infatti incentravano la loro analisi sullo studio delle manifestazioni del soggetto. Non sorprende dunque che il fiorire di questi studi abbia influenzato la produzione letteraria dell’epoca e che questa a sua volta sia stata considerata una forma d’antropologia sui generis. Obbiettivo di questa nuova corrente di studi era, e resta in linea generale a tutt’oggi, quello di individuare la natura dell’uomo, l’humanum o, usando un’espressione nietzschiana, la homo natura rappresentata nell’opera poetica. L’uso del termine antropologia letteraria, riferito ad una precisa corrente interpretativa autonoma, inserita nel contesto degli studi culturali, si deve a Fernando Poyatos, il quale lo propose per la prima volta, in occasione di un convegno, nel 1977 ed in seguito lo adoperò come titolo della pubblicazione degli atti, da lui curata (Poyatos 1988). Con questo termine egli indicava quel campo di studi interdisciplinare caratterizzato da un uso antropologico della letteratura, quale fonte di dati per un’analisi intertestuale sulle caratteristiche e lo sviluppo delle idee e degli usi di una cultura. L’idea di Poyatos, che la letteratura costituisca un ricchissimo archivio di dati antropologici, si fonda sull’idea che la scrittura letteraria esprima a pieno la cultura d’origine dell’autore, e di conseguenza si proponga come fonte per l’antropologo. La posizione di Poyatos, pur avendo dato il via ad un nuovo settore di studi, non fu subito accolta con grande fervore; furono infatti molte le critiche rivoltegli anche da coloro che firmarono gli interventi raccolti nel volume da lui curato. In particolare, fu posta in evidenza l’impossibilità, all’interno del testo poetico, di distinguere tra fatti oggettivi e immaginario poetico, condizione che renderebbe impossibile condurre un’indagine di tipo scientifico (Poyatos 1988). Fu invece accolta con maggior entusiasmo l’idea che propone di analizzare il testo letterario non soltanto come fonte di dati, bensì quale oggetto o strumento d’indagine antropologica in sé. Non sono più i fatti contenuti all’interno del testo a costituire argomento di studio, ma i suoi procedimenti interni, le sue caratteristiche fondamentali. Questa nuova impostazione teorica della questione, ha dato vita a due principali linee di sviluppo dell’indagine, assai diverse tra loro. L’una, basata sul testo di Wolfgang Iser, individua, quale tratto precipuamente umano della letteratura, la capacità immaginativa d’invenzione del singolo (Iser 1991), mentre l’altra, condotta sulla linea di ricerca adottata da Helmut Pfotenhauer, indaga concretamente sul ruolo giocato dalla letteratura quale strumento di rappresentazione di uno specifico argomento d’interesse antropologico (Pfotenhauer 1987). La prima è caratterizzata da una chiara tensione filosofica trascendente, la seconda da un orientamento più concretamente storico ed immanente. La questione su cui si fonda l’indagine di Iser deriva dall’osservazione che tutte le culture dotate di una tradizione scritta hanno creato una letteratura d’immaginazione, che a suo parere costituisce lo specchio delle sue caratteristiche antropologiche fondamentali. La duttilità della scrittura, come mezzo espressivo, e la sua plasticità ne fanno lo strumento ottimale per la rappresentazione e la descrizione delle differenze e dei mutamenti propri della natura e della cultura umana. Questo permette nuove ed assai più ampie prospettive di studio, di quanto non abbiano fatto indagini puramente filosofiche, sociologiche o psicologiche. L’immaginazione e la fantasia diventano quindi gli elementi cardine della ricerca antropologica. Secondo Iser, la finzione letteraria, das Fiktive, rifletterebbe una caratteristica antropologica fondamentale: l’irrefrenabile tensione dell’individuo a superare se stesso e i confini del mondo reale, ovvero la spinta alla creazione di immagini fittizie. La letteratura rappresenterebbe, dunque, una forma d’antropologia estensiva, in quanto fornisce all’uomo, attraverso la creazione di un mondo virtuale (phantasmatische Figurationen) uno strumento utile a verificare i possibili rapporti, che di volta in volta si vengono a creare tra l’uomo e il mondo circostante. La finzione letteraria crea estensioni dell’umano, superamenti di sé, grazie alla sua libertà da limiti pragmatici. Questo processo metterebbe in luce la condizione umana e contemporaneamente indurrebbe ad una variazione nella percezione del reale da parte del soggetto, con conseguenze dirette sulla vita del singolo. La capacità immaginativa sarebbe, sempre secondo Iser, non soltanto in grado di creare mondi alternativi, sia in senso sincronico che diacronico, ma permetterebbe di canalizzare nel quotidiano la quantità di fantasia necessaria, affinché abbia luogo lo sviluppo culturale. La letteratura non rappresenterebbe soltanto un utile strumento d’indagine antropologica, ma anche un elemento attivo di sviluppo culturale, in quanto mezzo di comunicazione in uso.

Nel volume pubblicato nel 1987 da Pfotenhauer, Literarische Anthropologie, la questione dei testi letterari quale fonte della ricerca antropologica viene impostata più su di un piano storico-letterario, ponendo al centro della ricerca il genere dell’autobiografia, inteso quale luogo in cui l’unione tra l’indagine scientifica e lo strumento letterario trova ideale realizzazione. Si fa esplicito riferimento agli esordi degli studi antropologici e viene tracciata una breve storia dei primi testi letterari che si rifanno agli studi sull’uomo (die Menschenkunde), condotti durante la seconda metà del XVIII secolo in Germania, quando già la letteratura era considerata utile strumento di ricerca per la comprensione della natura umana. L’efficacia di questa strategia diventa evidente quando si esaminano quei testi in cui l’autore riesce a ricostruire la realtà che lo circonda in modo tale da essere rappresentativa dell’intero contesto socio-culturale, come avviene ad esempio nei romanzi di Jane Austen, o nella letteratura d’emigrazione, etc. Ma è anche il caso di opere dal carattere, per così dire, ibrido, in cui il saggio scientifico assume dimensione poetica, adottando i mezzi espressivi e le strutture tipiche della scrittura letteraria. È questo il caso delle lettere di Schiller sull’educazione estetica (Über die ästhetische Erziehung des Menschen, 1795), o del saggio di Herder sulla storia della cultura (Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit, 1774). La letteratura è entrata a buon diritto a far parte di tutti gli ambiti della ricerca antropologica, sia puramente teorici che come fonte di studi in campo etnografico, socioculturale o etnologico. L’indagine condotta da Pfotenhauer, rimane centrata sull’autobiografia letteraria, quale strumento di comprensione dell’interiorità umana, in grado di fornire una Innenansicht des Anthopologischen (Pfotenhauer 1987). Questa natura umana interiorizzata, testimonianza di un’esperienza vissuta in prima persona, risulta essere rivelatrice, nella dialettica instauratasi al suo interno tra soggetto narrante e mondo circostante, della trasformazione subita in generale dal concetto di individualità e soggettività. L’io diviene in questo contesto, come già auspicato da Goethe, totalità estetica dell’individuale. L’impostazione dello studio di Pfotenhauer rimanda, anche in linea teorica, ad un genere di studi precedenti, finora considerato appartenente all’ambito letterario, in cui l’indagine condotta sui testi letterari mirava a mettere in evidenza elementi stilistici o storico-letterari, ma che rivelano già delle caratteristiche tipiche dell’indagine antropologica, come, per fare solo qualche esempio, nel caso dello studio condotto da Hans-Jürgen Schings sulla melanconia nel periodo illuminista (Melancholie und Aufklärung, 1977), o del volume di Philippe Ariès dedicato alla storia del confronto tra l’uomo e l’idea della morte (Geschichte des Todes, 1975). Il modello d’indagine adottato da Pfotenhauer è stato ripreso ed ampliato da Wolfgang Riedel in un volume dedicato ad un esame di alcuni testi letterari significativi per l’analisi di quel profondo cambiamento intervenuto nell’uomo durante il xx secolo (Riedel 1996). L’indagine di Riedel parte dal presupposto che la modernità sia contrassegnata da un radicale cambiamento di prospettiva nel rapporto esistente tra l’uomo e la natura, e da un profondo mutamento subito dal concetto di natura come ideale. L’espressione letteraria diventa testimone delle trasformazioni del rapporto soggetto-oggetto, e delle mutazioni subite dal concetto di natura umana in quella che viene definita l’era della modernità o das technische Zeitalter. Il testo letterario diventa rappresentativo della profonda antitesi instauratasi tra tecnologia e natura, scienza e religione, ecc. e del cambiamento subito nel corso del tempo dal concetto stesso di humanum. La letteratura in quanto natura umana esperita, secondo la prospettiva individuata da Pfotenhauer, è diventata la base su cui si è sviluppato questo nuovo settore di ricerca interdisciplinare, che, dal 1996 in poi ha visto nascere numerosi testi, riviste e convegni dedicati a quest’argomento. Uno dei primi e più importanti progetti di ricerca dedicati a quest’ambito di studi, che riunisce in sé tutte le varie correnti prese fin qui in esame, è quello fondato nel 1996 dalla Facoltà di filosofia dell’Università di Costanza. Il progetto è articolato su tre quesiti fondamentali riguardanti il perché l’uomo produca letteratura, i contenuti dei testi letterari riguardanti l’uomo ed il rapporto instaurato dalla rappresentazione letteraria con gli altri strumenti espressivi. Il progetto ha dato vita ad un vasto numero di contributi, che affrontano molteplici aspetti della ricerca, e individua proprio nell’intertestualità e nell’interdisciplinarietà il futuro sia in ambito antropologico che letterario. La ricerca italiana ha dimostrato di partecipare al crescente interesse rivolto all’antropologia letteraria, dedicando all’argomento alcuni convegni (Trento, 1991 e Torino, 1996) e adottando questa prospettiva interdisciplinare all’interno di alcuni studi specifici (cfr. Crescenzi 1996). L’argomento è stato accolto anche all’interno di alcuni importanti progetti di ricerca come quello dedicato all’antropologia filosofica dell’Università di Pisa o dal crier (Centre de Recherches sur l’Italie dans l’Europe Romantique) della Facoltà di lingue e letterature straniere dell’Università di Verona. Va infine notato che l’interesse rivolto al collegamento tra antropologia e letteratura ha assunto proporzioni rilevanti a livello mondiale negli ultimi cinque anni, coinvolgendo molti centri di ricerca (per es. Asociaciòn Espagnola de Semiotica y modernidad dell’Università della Coruña) e ha dato luogo ad importanti studi sui più svariati aspetti assunti da questo nuovo ambito della ricerca, come dimostra, solo per fare alcuni esempi, l’indagine condotta dall’antropologo sociale Miguel Alvarado Borgoño, dell’Università cattolica cilena di Temuco, consultabile in rete, sulla consistente produzione di testi di letteratura antropologica cileni, o il saggio di Clifford Geertz che prende in esame la figura dell’antropologo, quale autore di testi letterari (Geertz 1988).

                                                                                di Renata Gambino


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