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Saviano

 
Così si combatte il fango
 
 Che cos'è la macchina del fango? È delegittimazione, attacco personale, screditamento attraverso il gossip, gogna pubblica di fatti privati come un calzino color turchese o una vecchia foto di vacanze su una spiaggia nudista. È un sistema semplice e antico che funziona talmente bene da diventare regola: chi si pone contro il governo o certi poteri, finirà infangato.
Critichi? Ti opponi? Sarai delegittimato. Si attiva una macchina fatta di dossier, di giornalisti conniventi, di politici faccendieri che cercano attraverso media e ricatti di delegittimare gli avversari. Spesso si giustificano con la scusa dell'inchiesta. Ma esiste una differenza fondamentale tra diffamazione e inchiesta. L'inchiesta raccoglie una molteplicità di elementi per mostrarli al lettore. La diffamazione prende un singolo elemento privato e lo rende pubblico. Non perché si tratti di un reato e nemmeno di qualcosa che tiene al ruolo pubblico della persona nel mirino. Ma la mette in difficoltà, la espone, la costringe a difendersi. Così il fango intimidisce, ostacola la partecipazione, invita a evitare di rovinarsi l'esistenza. Utilizza ogni cosa e non solo qualcosa di privato che attiene alla tua sfera intima ma un tuo connotato che faccia ombra: un talento, un coraggio, un'ambizione, un'aspirazione alla bellezza. Qualunque cosa attenti alla selezione alla rovescia che è prevalsa nella vita pubblica, e che deve garantire la durata dei peggiori. I peggiori sono i peggiori, o, peggio, i migliori che hanno tradito e si sono traditi e non se la sentono più di cambiare, di risalire, e mirano a tirare giù gli altri. Il gossip, paroletta che vuole rendere leggera la brutalità della maldicenza e rendere carina la liquidazione della discrezione, è oggi uno strumento estorsivo sulla vita personale, un racket sulla privacy. Perché il fango mira alla tua sfera più intima. Ti costringe a difenderti da ciò che non è né colpa né crimine, ma solo la tua vita privata. È sacra la privacy su chi incontri, su chi frequenti, sul fatto che nessuno, tranne la persona amata, deve ascoltare una tua dichiarazione d'amore. Ma se candidi le tue amiche e puoi finire vittima di ricatti ed estorsioni, questo smette di essere un fatto privato e diventa invece condizionamento della vita pubblica di un intero Paese. La privacy è tutela della vita e della voglia di vivere. L'abuso di potere è un'altra cosa, scontata da altri.
Lo scopo della macchina del fango è cancellare questa differenza fondamentale. Poter dire e ribadire: siamo tutti uguali, lo fanno tutti. E questo funziona benissimo, perché molti non comprendono la differenza, ma soprattutto perché è comodo pensarci tutti peccatori. Se siamo tutti uguali, nessuno è più costretto a fare uno sforzo per cercare di essere migliore. Questo meccanismo si nutre di una tendenza tipica del nostro Paese: se emergi, sarai stato favorito; se ti esponi, sei un narciso; se hai ambizioni, sei un opportunista. Più un potere è in crisi, più cercherà di portare nel proprio abisso tutto ciò che gli sta attorno. Viene in mente la massima: nessuno è un grand'uomo per il proprio cameriere. Il precetto di oggi che la macchina del fango impone dev'essere: nessun uomo, tutti camerieri. La libertà di stampa in Italia è compromessa dalla certezza che non verrai criticato per quello che dici, ma cercheranno di demolire la tua vita, la tua dignità, anche laddove non c'è ombra di reato. Ma non è un meccanismo che riguarda solo i giornalisti. La stessa cosa successe al presidente della Camera Fini, quando cominciò a dissentire da alcune posizioni a proposito di giustizia e legalità. Ma vale la pena ricordare soprattutto il direttore di Avvenire, Boffo, che aveva iniziato a criticare la condotta di Berlusconi. Nel maggio del 2009 aveva scritto: "Continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, all'anima del Paese". Subito entrò in azione la macchina del fango, riesumando una storia vecchia di anni che riguardava una multa pagata per chiudere una diatriba giudiziaria minima (telefonate a una persona che non voleva essere disturbata). Non solo: vi si aggiungeva un documento di supposta natura giudiziaria che diceva: "Noto omosessuale già attenzionato dalla polizia". La diffamazione si basava dunque su un documento falso, perché in nessun atto giudiziario Boffo risultava né omosessuale né tantomeno "attenzionato" dalla polizia. Ma, a parte questo, quale sarebbe il suo reato: l'omosessualità? Chi crede che l'omosessualità sia "da attenzionare" si comporta da sgherro di regime, regime qualsiasi. Boffo, per questo fango, è costretto prima a difendersi e poi a dimettersi. E il politico pdl Stracquadanio conia un termine sinistro che mostra come la diffamazione stia diventando metodo: il "trattamento Boffo", che richiama il "Trattamento Ludovico" di Arancia Meccanica.
La macchina del fango è un meccanismo vecchio. Ci avevano provato anche con Giovanni Falcone, criticandolo non per il suo operato, ma per la sua immagine. Anche il fallito attentato all'Addaura dell'estate 1989 diventa pretesto per la diffamazione; nei salotti di Palermo, infatti, si dirà che la bomba l'ha fatta mettere lui stesso, per attirare l'attenzione su di sé a fini di carriera. Falcone conosceva bene l'Italia e il meccanismo secondo cui se la mafia non ti uccide, se l'attentato salta, si rischia di non essere credibili. Solo la morte può legittimarti. Dopo la diffidenza mostrata verso l'autenticità dell'attentato dell'Addaura, diventano pubbliche sei lettere anonime del "Corvo", indirizzate a diverse figure istituzionali. Nelle lettere il magistrato viene accusato di aver fatto rientrare dagli Usa il collaboratore di giustizia Contorno e di averlo usato come killer di Stato per stanare i corleonesi. Solo il 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci, le critiche personali cessano. La morte di Falcone azzera le polemiche, Falcone diventa eroe. Quasi che la morte fosse l'unica prova possibile dell'autenticità della sua lotta alla mafia.
In Italia, la macchina del fango ha avuto un bersaglio prediletto in Pier Paolo Pasolini. Contro un intellettuale scomodo, indipendente, per giunta apertamente omosessuale, si tirava persino fuori un'accusa di rapina da cui lo scrittore è stato prosciolto con piena formula. Non solo attacchi da giornali di destra, ma anche giudizi sprezzanti di molti uomini della sinistra che trovavano scomoda la figura del Pasolini omosessuale. Lo scrittore subì innumerevoli denunce e 33 processi nel corso di 27 anni; non si sottrasse mai al processo. Lo stesso Pasolini scrisse su Paese Sera l'8 luglio 1974: "Mi hanno arrestato, processato, perseguitato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane non può saperlo... Può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l'angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l'arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose relative alla sua persona...". Pasolini parla di paura, terrore: è questo che produce la macchina del fango e che spesso porta a non agire, a evitare di partecipare, a compiere uno sforzo per migliorare le cose. Una volta Enrico Deaglio nel ricordare Mauro Rostagno usò un detto siciliano: "I vermi non l'hanno a mangiare". I vermi, vale a dire, non avranno alcun potere se vivrà più forte il ricordo di un uomo che si è adoperato per il bene e per il giusto. Oggi vale purtroppo anche per i vivi. Se ti poni contro il potere i vermi della delegittimazione ti vengono gettati addosso.
Ribadisco, l'unico modo per fermare la macchina del fango è non darle credito. Riconoscerla, dire: è fango, non mi interessa, non mi riguarda. Facendo muro contro la maldicenza, non diventandone un veicolo di diffusione, non riprendendo la notiziola su un compenso o su una relazione. Non è difficile avere la possibilità di impastarsi meno con il veleno. Basta ricordare come ci si sente quando si diventa oggetto di illazioni false, di pettegolezzi maliziosi, di mobbing fondato su presunte inadempienze, qualcosa che è capitato a tutti. La macchina del fango è un meccanismo persecutorio che non mira solo a distruggere un avversario, ma che sta scardinando ogni possibile patto di fiducia all'interno di questo Paese. Fermarla equivale a difendersi da un acido corrosivo. Nel maggio del 1924 Giacomo Matteotti denunciò i fascisti per i brogli elettorali e, terminato il discorso, disse: "Ed ora preparatevi a farmi l'elogio funebre". Sapeva che sarebbe stato ammazzato. Non sembri troppo drammatico il citare Matteotti se oggi la consapevolezza di chiunque si ponga contro il potere del governo sia quella di sentirsi "pronto alla più feroce delle campagne di delegittimazione e fango". Per ogni denuncia, per ogni critica, per ogni gesto di coraggio, per ogni resistenza, sai già cosa ti capiterà per cui senza paura dinanzi al "tutti facciamo schifo" risponderei come risposero i ragazzi di Locri alla bestialità ndranghetista: e ora infangateci tutti.

(sintesi dell'intervento proposto martedì 12 aprile 2011 al Festival internazionale del giornalismo di Perugia)

 

(12 aprile 2011) di Roberto Saviano
 


I tabloid, dal gossip alla fabbrica del fango

Nel mondo dell'informazione è passato uno tsunami, una catastrofe per la democrazia si è sprigionata da un giornale. Ricorro a queste similitudini drammatiche perché quel che è accaduto con News of the World, il tabloid inglese che spiava, manipolava e ricattava, mina per sempre la credibilità del quarto potere. Attraverso un foglio scandalistico, un gruppo imprenditoriale teneva sotto tiro chiunque si ponesse contro la sua linea e al contempo bruciava la concorrenza intercettando clandestinamente migliaia di cittadini per fabbricare gossip. Ma ora, molto prima che un giudice britannico si possa pronunciare sulle responsabilità penali dei singoli indagati o arrestati, quel giornale ha dovuto chiudere.
Non è questo ciò che sta accadendo in Italia. Negli stessi giorni in cui lo scandalo inglese toccava l'apice, il ministro Tremonti dichiarava lapidario: "con me niente metodo Boffo". In quell'ammonizione preventiva è concentrato il terrore del nuovo racket, il giornalismo ricattatorio che bada ai propri interessi o quelli dei propri mandanti politici, senza rispettare niente e nessuno, nemmeno gli interessi più elementari del paese. Chiunque diventa troppo indocile e al contempo troppo potente, va rimesso in riga subito, crollasse nel frattempo anche la Borsa, ossia la già acciaccata stabilità economica della nazione.
Proprio per questo, anche in queste ore, si tenta di fare confusione sulla strategia del fango italiana.

C'è chi equipara le intercettazioni pubblicate dai nostri giornali ai metodi inglesi, mentre sono il frutto regolarissimo del lavoro della magistratura. Insinuare che vi sia qualcosa di illegale nell'uso di questo strumento indispensabile per le indagini, è come dire che dopo l'11 settembre bisognava vietare tutti gli aerei. In Inghilterra a intercettare non sono stati i magistrati, ma i giornalisti e i complici al loro soldo: detective privati, hacker, poliziotti corrotti che avevano accesso alle compagnie telefoniche. La privacy di comuni cittadini è stata violata da altri comuni cittadini. Non si è trattato di materiale acquisito per un'inchiesta giudiziaria, ma anzi, in certi casi i fabbricatori di gossip si sono appropriati delle vite degli altri persino a danno degli stessi inquirenti. Per il semplice scopo di poter ascoltare nuovi messaggi quando la segreteria telefonica era ormai piena, gli spioni del giornale hanno cancellato i vecchi messaggi dal cellulare di una ragazzina scomparsa e poi trovata uccisa, privando così polizia e magistratura di prove o indizi per identificare il suo assassino. In Inghilterra, la ricerca dello scoop senza riguardo per i diritti dei singoli e delle istituzioni, in Italia la delegittimazione a scopo politico di chiunque si opponga a Berlusconi. È la deriva di un certo giornalismo. È in entrambi i casi un giornalismo perverso, se ancora giornalismo si può chiamare.
Da noi alcune agenzie usavano materiali compromettenti a scopi di lucro, compiendo sul gossip l'estorsione classica. Alcuni quotidiani vi ricorrono invece per distruggere la carriera e l'immagine delle persone non gradite: è la struttura Delta, l'ultima armata rimasta a disposizione di Berlusconi. In molti punti ciò che è successo in Gran Bretagna mostra convergenze con quel che accade in Italia. C'è, per esempio, la figura di Andy Coulson, l'ex direttore di News of the World divenuto portavoce del governo, il primo nome eccellente tratto in arresto. Nonostante fossero già emersi i metodi illegali con cui il giornale si procacciava le notizie, il primo ministro Cameron l'ha voluto accanto a sé. Il conoscitore dei punti deboli di eventuali alleati e soprattutto rivali, rappresentava una risorsa in più, un'arma segreta ma non troppo. Secondo le accuse, Coulson è l'uomo che sapeva tutto. Il racket delle informazioni, metodo collaudato dalle mafie, era divenuto nella sua redazione sistema universale, macchina in grado di spaventare chiunque si ponesse contro la linea del giornale, i suoi interessi politici e economici. News of the World è chiaramente schierato a fianco del governo: per ottenere spazi, appalti, vantaggi sul mercato. Ma non solo. Contro un'opinione pubblica sempre più ostile, appoggia anche la guerra in Iraq e Afghanistan, e agisce con i suoi metodi. Spia le mail dei caduti, i cellulari dei loro congiunti. Una donna che ha perso il marito per fuoco amico è una pessima pubblicità per l'intervento militare. Così conviene monitorarne la vita privata, aspettando di scoprire che lei o un'altra abbiano fatto un passo falso o qualcosa che si possa spacciare come tale, mentre i loro uomini stavano combattendo e morendo nel deserto. Poter screditare (o ricattare) qualcuna delle vittime, significa poter comunicare al Paese che non ci sono martiri di una guerra assurda, ma solo piccole storie squallide da osservare attraverso il buco della serratura. Se nessuno è più credibile, se tutti sono uguali e ugualmente sporchi, il potere non è più tenuto a rendere conto, può fare ciò che vuole, prevale sempre.
Il gossip sta divenendo sempre più il motore truccato di un giornalismo mondiale. Il gossip, il tabloid, il quotidiano di retroscena, il sito pettegolo, sono la nuova frontiera del racket a cui si paga pizzo ogni qual volta si sottostà al terrore che il proprio privato, diventando pubblico, possa rovinare l'immagine. È un meccanismo che costringe a difendersi da ciò che non è né colpa né crimine, ma solo privato. Costringe a cedere al ricatto pur di non vedere la carriera o la vita rovinata dallo svelamento di una debolezza o di un fatto intimo.
Sia chiaro: questo sistema non ha nulla a che vedere con l'inchiesta giornalistica (anche se a volte si spaccia per tale), la quale raccoglie una molteplicità di elementi e informazioni per dare al lettore un quadro ampio ed esaustivo su fatti che riguardano la loro vita, il loro Paese. Se c'è qualcosa che si può fare prima che arrivino leggi nuove a liberare l'informazione dal racket, è proprio la scelta del lettore. Del singolo lettore che in questo istante legge queste parole: non finanziare questa forma di racket-giornalismo. Questa è l'ultima battaglia che sta avvenendo: vogliono terrorizzare tutti, mettere paura a chiunque voglia fare un passo pubblico, spaventare le personalità credibili, tenere fuori dalla televisione (o ridurne le potenzialità) tutti coloro che potrebbero ostacolare questa strategia. La verità emersa in Inghilterra può mostrare che anche qui si può bloccare questo meccanismo.. Sono stati i lettori che hanno fatto subito capire che non avrebbero più comprato il giornale che spiava le loro vite. Non esiste antidoto più potente contro i veleni che inquinano la democrazia delle persone che si scrollano di dosso la loro passività e si riscoprono cittadini.
 
(La Repubblica 14 luglio 2011)