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Il movimento chiamato diritto e letteratura

Il movimento chiamato “Diritto e letteratura” prende avvio negli Stati Uniti con la pubblicazione nel 1908 - nel clima della “rivolta contro il formalismo” di A List of Legal Novels di John Wigmore. In essa vengono selezionati pezzi di narrativa interessati a tematiche giuridiche col dichiarato fine di diffondere le opere letterarie che testimoniano i valori giuridici fondamentali della cultura americana per informare ad essi i giuristi. Negli anni successivi vengono pubblicate altre opere di questo genere, che consolidano la convinzione che la letteratura contribuisca a formare la coscienza etica di avvocati e giuristi e, per questa via, la prospettiva giusletteraria entra nell’insegnamento universitario.
Nel 1925 col saggio Law and Literature, Benjamin Cardozo prefigura la possibilità, da un lato, di leggere ed interpretare le sentenze come esempi di letteratura, o meglio di scrittura letteraria, e, dall’altro, di cogliere, attraverso la rappresentazione letteraria, il contesto in cui si svolge l’esperienza giuridica, il law in action contrapposto al law in books.
Si cominciano così a delineare i due indirizzi in cui tradizionalmente si divide il movimento: Law in Literature e Law as Literature. Il primo, volto all’analisi delle rappresentazioni letterarie del diritto ritenute utili alla formazione umanistica degli operatori giuridici; il secondo, partendo dal presupposto dell’analogia tra diritto e letteratura in quanto testi, volto a elaborare una metodologia che si serva delle tecniche della critica letteraria per affrontare alcuni problemi classici della teoria del diritto ,soprattutto con riferimento all’interpretazione e all’analisi del ragionamento giuridico.
Negli stessi anni in Italia numerose sono le opere che danno spazio a diritto e letteratura; senza alcuna pretesa di completezza cito: Giovanni Brunelli, che nel saggio del 1906 Il fatto illecito e il fatto immorale di fronte al diritto positivo, analizza il Mercante di Venezia di Shakespeare per argomentare in tema di rapporti tra diritto positivo, interpretazione giuridica e morale; Pietro Cogliolo, che nel saggio del 1940 La Lingua giuridica, si sofferma a valutare la bellezza delle espressioni del diritto e il ricorrere delle figure retoriche nel linguaggio normativo; Alfredo Ascoli e Cesare Levi, che nel 1914 pubblicano il saggio Il diritto privato nel teatro contemporaneo francese e italiano; Piero Calamandrei, che nel 1924 nel saggio Le lettere e il processo civile scrive “dalla lettura di certe pagine di romanzi, nelle quali si descrivono con linguaggio profano i congegni della giustizia in azione, è assai spesso possibile trarre un’idea precisa, meglio che da una critica fatta in gergo tecnico e in stile cattedratico, del modo in cui la realtà reagisce sulle leggi e della loro inadeguatezza a raggiungere nella vita pratica gli scopi per i quali il legislatore crede di averle create”; Leopoldo Tumiati, che nel saggio del 1927 La poesia nel diritto si focalizza sulla dimensione artistica del diritto; Roberto Vacca, che nel libro Il diritto sperimentale del 1923 sostiene che l’opera letteraria non si limita a descrivere il reale, ma rappresenta la psicologia dei personaggi, così che le opere di Rabelais, Dickens, Balzac e Tolstoj spiegano “certi modi di agire e di pensare inerenti alla natura umana assai meglio di qualche vecchio trattato di filosofia del diritto, ed anche di qualche moderno manuale di psicologia giudiziaria”.
La prima opera sistematica italiana è La letteratura e la vita del diritto, pubblicata nel 1936 da Antonio D’Amato: in essa l’autore osserva che fin dall’antichità la letteratura assume un ruolo importante nell’ambito giuridico, costituendo “un materiale prezioso, per sé stesso capace di spiegare le origini e l’evoluzione dei vari istituti legislativi”, e passa poi in rassegna le principali correnti filosofiche e le dottrine giuridiche che hanno affrontato il tema dei rapporti tra diritto e letteratura (cita gran parte degli autori italiani sopra ricordati; Hans Fehr per l’area tedesca; Wigmore e Cardozo per l’area americana).
Idealisticamente per D’Amato letteratura e diritto sono manifestazioni delle aspirazioni della coscienza collettiva, momenti diversi del concretizzarsi dello spirito che si esprime attraverso la letteratura, prima, e si formalizza, poi, nel diritto.
L’altro nome di rilievo di questa prima fase di Diritto e letteratura in Italia è quello di Ferruccio Pergolesi, la cui ampia produzione sul tema comincia negli anni ’20 con Il diritto nella letteratura (1927), ma trova definitivo sviluppo negli anni ’40 e ’50 con, in particolare, Diritto e giustizia nella letteratura moderna narrativa e teatrale (1949, riedito con aggiornamenti nel 1956).
Per Pergolesi il diritto nella letteratura può essere osservato da due diversi versanti: quello della sociologia del diritto, che permette di considerare il diritto vivente, non codificato, ma anche il diritto positivo nelle sue prassi effettive; quello della filosofia del diritto, che è volto al rinvenimento del sentimento della giustizia e degli ideali etici.
Ciò che emerge da questa rapida disamina della prima fase degli studi italiani di Diritto e letteratura è che l’accostamento al tema è delineato maggiormente sul versante della ricerca che non su quello della formazione giuridica, come era avvenuto invece negli Stati Uniti.
A questo primo periodo di sviluppo del movimento seguono alcuni decenni, tra gli anni ’50 e ’70, in cui si assiste ad una continuità di produzione lungo le linee sopra indicate, ma senza sostanziali novità. A partire, invece, dagli anni ’70 si apre una nuova fase del movimento, caratterizzata da una riflessione sistematica sul metodo dell’approccio giusletterario; così, all’analisi delle opere letterarie che raccontano del diritto, si accompagna in modo sempre più avvertito e innovativo anche lo studio delle potenzialità euristiche e formative di questo indirizzo di ricerca.
Questa seconda fase degli studi di Diritto e letteratura è, per così dire, inaugurata per quasi unanime consenso dalla pubblicazione nel 1973 dell’opera di James Boyd White, The Legal Imagination. Studies in the Nature of the Legal Thought and Expression, prima di una trilogia che comprende When Words Lose their Meaning. Constitution and Reconstitution of Language,Character and Community del 1984 e Hercules’ Bow. Essays on Rhetoric and Poetics of the Law del 1985. In queste opere Boyd White approfondisce l’accostamento tra diritto e letteratura: al pari della letteratura il diritto è un prodotto culturale, un’attività culturale e sociale da osservare criticamente. Il diritto deve essere considerato parte integrante di un “sistema” culturale cui il giurista deve fare continuo riferimento per attribuire un significato alle parole con cui opera. In questo senso Law and Literature deve divenire parte della formazione del giurista: vale a dire, diversamente dalla prima fase, in cui si cercava attraverso la letteratura di formare lo studente a un sistema di valori, Boyd White ritiene che l’accostamento diritto e letteratura possa fornire allo studente la consapevolezza della natura culturale del diritto, superando così l’eccessivo tecnicismo che negli Stati Uniti a partire dalla metà del secolo scorso era prevalso negli studi giuridici.
Oltre a Boyd White, Robert Cover, Richard Weisberg, Martha Nussbaum, Robin West, Jeremy Bruner ,Richard Posner, per citare solo gli autori più noti di questi anni, alimentano il dibattito, aprendo anche nuove direttrici di ricerca che considerano il diritto come pratica interpretativa, come pratica narrativa, come attività volta a persuadere ecc. Un discorso a parte andrebbe fatto per il filone cosi detto “Regulation of Literature by Law” che si occupa di diritto d’autore, reati commessi a mezzo stampa ecc.
Negli ultimi trent’anni anche in Italia si è assistito ad una “rinascita” degli studi di Diritto e letteratura da parte di studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari diversi.Oltre alle discipline tradizionalmente più vicine all’accostamento della letteratura al diritto come la filosofia del diritto (è consuetudine affrontare uno dei temi classici della disciplina, il contrasto tra diritto positivo e diritto naturale, con la lettura dell’Antigone di Sofocle), la sociologia del diritto (la rappresentazione letteraria è lo strumento per comprendere la dimensione sociale della giuridicità e le aspettative normative), la storia dei diritti antichi (il ricorso alle fonti letterarie non solo sostituisce le fonti dirette, ma serve a comprendere la dimensione simbolica in cui emergono e si formalizzano le norme), si sono aggiunte di recente la teoria del diritto, la filosofia della politica, la psicologia culturale, alcune discipline giuridiche (dal diritto costituzionale, al privato, al processuale) e soprattutto il diritto comparato (la letteratura rappresenta infatti per il comparatista uno strumento molto efficace per comprendere le differenze esistenti tra sistemi giuridici e culture giuridiche).
I temi sono molto numerosi e prevalentemente riconducibili al filone diritto nella letteratura, vale a dire indagini delle origini e della continuità semantica di nozioni come soggetto, persona, volontà, norma; analisi del contesto simbolico in cui emergono e si formalizzano le norme; analisi del fondamento della giustizia; affermazione dei valori dell’etica giuridica quali libertà, dignità, pace, uguaglianza, solidarietà; esame delle condizioni dei gruppi e delle minoranze socialmente e giuridicamente escluse; analisi degli effetti sociali determinati dall’applicazione delle leggi.
Meno coltivati in Italia, ma non assenti, soprattutto nelle indagini più recenti, i temi dell’estensione delle metodiche dell’interpretazione letteraria al diritto e del diritto quale pratica narrativa.
Nell’insieme si può dire che l’interesse degli studiosi italiani è volto prevalentemente alla ricerca e alle questioni di metodo al fine di precisare obiettivi e funzioni nonché modelli di indagine adeguati, meno al tema della didattica e della formazione che, invece, abbiamo visto essere centrale negli Stati Uniti sia nella prima sia nella seconda fase di Diritto e letteratura.
Come si è detto, negli Stati Uniti, il movimento Diritto e letteratura nelle sue due fasi ha manifestato un particolare interesse alla formazione.
Nella prima fase il bersaglio polemico era rappresentato dal case-method di Langdell, un metodo, come è noto, che favorì l’affermarsi del formalismo, estraneo, fino a quel momento, al pensiero giuridico americano.
L’alternativa, di cui si fanno esponenti Wigmore e Cardozo, è ben riassunta in una lettera, citata da Boyd White, del giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter ad un giovane dodicenne con l’ambizione di diventare avvocato:
«Mio caro Paul, nessuno può considerarsi un giurista veramente competente se non è un uomo di cultura. Se fossi in te, dimenticherei qualsiasi preparazione tecnica per quanto concerne il diritto. Il miglior modo per studiare il diritto è quello di giungere a tale studio come una persona già ben istruita. Solo così si può acquisire la capacità di usare la lingua inglese, scritta ed orale, ed avere un metodo di pensiero chiaro, che solo una educazione genuinamente liberale possono conferire. Per un giurista non è meno importante coltivare le facoltà immaginative leggendo poesie, ammirando grandi quadri, nell’originale o in riproduzioni facilmente accessibili, ascoltando grande musica. Rifornisci la tua mente di tanta buona lettura e amplia e approfondisci i tuoi sentimenti sperimentando indirettamente ed il più possibile i magnifici misteri dell’universo e dimenticati della tua futura carriera ...».
Nella seconda fase Diritto e letteratura reagisce al clima culturale che si era venuto instaurando alla metà del secolo scorso con l’affermarsi “dell’illusione che non vi fossero connessioni tra il diritto e gli altri linguaggi e più in generale con il sapere umanistico”. Questa “cecità nei confronti dell’ovvio”  sono, come le precedenti, parole di Boyd White  fu prodotta dalla convergenza di vari fattori, quali l’imporsi all’interno della filosofia di un positivismo logico che attribuiva significato solo a ciò che era sperimentabile empiricamente; l’imporsi delle scienze sociali  sociologia, psicologia, economia  a discapito delle altre forme di pensiero; il diffuso desiderio di affermare la “mascolinità” della scienza contro la percepita “femminilità” degli studi umanistici.
In polemica con tutto ciò intorno agli anni ’70 si accende il dibattito sul rapporto tra diritto e il sistema di valori e il contesto culturale e sociale in cui esso si iscrive e su quali strumenti di analisi critica del fenomeno giuridico debbano concorrere alla formazione del giurista. Tra questi strumenti anche la letteratura, secondo le proposte richiamate nella prima parte del mio intervento.
In Italia la situazione è sempre stata un po’ diversa e non si può dire, come ha affermato Boyd White per gli Stati Uniti, che “l’educazione giuridica consista soprattutto nell’apprendere le regole”. Fin dalle origini nel Medioevo lo studio del diritto si congiunse felicemente ad una riflessione sui fondamenti filosofici del pensiero giuridico e sui metodi ermeneutici diffusi dalle scuole di Artes (grammatica, retorica, dialettica) e i grandi maestri spaziavano dal diritto romano alla metafisica, dal diritto canonico alla grammatica, dalla teologia alla logica.

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