Il Punk O La fine del Mondo Occidentale 1. Premessa Il Punk è troppo spesso etichettato come fenomeno di costume passeggero e relegato agli anni che vanno dalla seconda metà del 1970 alla prima metà del 1980, o ridotto ad una postura ed a una moda giovanile priva di contenuto. Non è così. Il Punk si è imposto con forza nell’immaginario collettivo moderno ed ha letteralmente travolto gli ultimi trent’anni del Novecento, spianando, al contempo, la strada per un nuovo tipo di estetica e di pensiero che va a trionfare in questo Ventunesimo secolo appena cominciato.
2. Fine dell’Utopia
Il Punk nasce da una visione apocalittica del reale, andatasi maturando nel corso degli ultimi decenni, ma, nella sua accezione più pura, può essere visto, in realtà, come un reazione ai movimenti giovanili del decennio precedente. La cultura delle droghe, maturata con il movimento hippie, aveva raggiunto il suo apice nel 1968 con Woodstock, ma si trovava, oramai, in pieno declino: le personalità di spicco proprie di questa “scuola di pensiero” che trovava il suo massimo teorizzatore in Tim Leary stavano, infatti, scomparendo nel tunnel della dipendenza e del declino fisico e spirituale che a questa segue. Esemplare, in questo senso, la parabola di Jimi Hendrix (morto di overdose), ma anche quelle di Jim Morrison, Janis Joplin, Syd Barrett e molte altre. Queste morti e ritiri dalla scena musicale fecero presagire un incupimento nelle nuove generazioni che sempre meno si riconoscevano in un ideale di qualsiasi tipo, tanto meno in quelli di pace e amore che avevano dominato precedentemente. A tutto ciò, si vada ad aggiungere la pesante crisi politica e sociale che stava avvenendo proprio in quel periodo. La figura di Richard Nixon dominava incontrastata, e ben rappresentava la quintessenza di quell’America imperialista, aggressiva, che si aggrappava ai più rigidi parametri del consumismo e del benestare, e poco propensa ad accettare un cambiamento di qualsiasi tipo. Se a questo si aggiunge il fatto che la maggior parte dei politici e degli esponenti di rilievo nella società erano corrotti, viene da pensare che, se anche non si trattava tecnicamente di una dittatura, per certi versi era qualcosa di addirittura peggiore, in quanto la concreta assenza di un personaggio solo contro cui protestare inibiva qualsiasi velleità contestatrice. Oltretutto, gli effetti della crisi petrolifera si facevano ancora sentire, le certezze sul presente e sul futuro andarono letteralmente in frantumi, la violenza urbana andava in dilagando (mentre negli anni ’60, infatti, il principale pericolo alla pace sociale veniva dalle manifestazioni in piazza, negli anni ’70 ogni singolo disadattato divenne protagonista di una personale guerra civile il cui significato, probabilmente, non era chiaro neppure a sé stesso), la coscienza collettiva era frustrata a tal punto che era difficile avere un qualsiasi sogno. In generale, possiamo dire che l’idealismo stava morendo e il materialismo dilagava.
3. Blank Generation
Non c’è da stupirsi, quindi, che i giovani degli anni ’70 crebbero in un ambiente molto meno eccitante, nel quale la loro unica prospettiva seguiva un percorso predeterminato dalla laurea e dalla carriera professionale. I loro nonni avevano lottato contro Hitler, i loro genitori erano stati degli spensierati baby-boomers, ma la loro generazione non era nulla. Da qui un umore esistenziale che era soprattutto inconscio e represso ma molto diffuso fra gli adolescenti americani, oppressi da una forma di noia che incrociava violenza e nichilismo. In polemico contrasto con la “Beat Generation”, che, nella sua ricerca della felicità, dell’Utopia, dell’American Dream, aveva, appunto, aperto le porte al modo di vivere hippie, si è soliti denominare questa generazione “Blank Generation” (traduzione letterale: Generazione del Vuoto) . Ben lontani dal poter definire questo movimento una “corrente artistica”, lo si può inquadrare più semplicemente in un sentimento collettivo, in un malessere senza nome che colpiva la giovane classe borghese allo sbando, e che trovò una voce, ancora una volta, nella musica rock, con artisti come Richard Hell e Patti Smith che per primi si imposero come “profeti” di un inconscio collettivo che stava radicalmente cambiando.
4. Da ansia generazionale ad ansia sociologica
Durante gli anni ’70 l’umanità entrò nell’era così detta “post-industriale”, l’era in cui i servizi avrebbero preso il sopravvento sulla produzione e l’informatica avrebbe giocato un ruolo determinante in ogni aspetto della vita umana. Se con l’avvento della catena di montaggio l’individuo era passato in secondo piano all’interno del sistema produttivo, nell’economia incentrata sul settore terziario il lavoratore vede ridurre il proprio ruolo al livello di un semplice ingranaggio in un enorme meccanismo di parti interconnesse. In questo contesto non si cerca più di fabbricare il robot a somiglianza dell’uomo, ma l’uomo a somiglianza del robot, per il semplice motivo che quest’ultimo si è rivelato più efficiente e redditizio dell’essere umano. Fondandosi sempre di meno come un’associazione di individui al cui interno ognuno contribuisce a determinarne le caratteristiche con il proprio comportamento, la società post-industriale, fondandosi sulla pigrizia e sulla paura di pensare, determina le azioni e le opinioni del singolo individuo, il quale affonda sempre più nell’anonimato di massa. Definito dalla sua ditta, dal suo ufficio e dalla sua scrivania, l’impiegato è privato dello stimolo ad essere qualcosa di più di un numero di matricola, e il processo di spersonalizzazione, iniziato con il passaggio dalla società rurale a quella urbana, sembra vedere il suo punto di arrivo nel supino conformismo. Il concetto stesso di razza umana si altera profondamente. I progressi della medicina tengono in vita esseri che da soli non supererebbero la selezione naturale, alterandoli attraverso l’innesto di organi naturali o artificiali, e sembrano preludere ad un futuro nel quale gli esseri umani saranno assemblati negli ospedali. La vita umana perde il suo alone magico, riducendosi ad un’equazione matematica. La paura dell’olocausto nucleare viene soppiantata da visioni apocalittiche nelle quali gli esseri umani sono soggetti a mutazioni sempre più orripilanti. Nell’immaginario collettivo ci sono visioni di metropoli attraversate da individui senza volto: un futuro di macchine e apocalissi morali soppianta un presente di nevrosi e paure. Il risultato di tutto questo è che, quel sentimento angoscioso che aveva colpito, in un primo momento, solo la gioventù americana si stava allargando a macchio d’olio per colpire tutti gli strati della società Occidentale e stava diventando una nevrosi davvero collettiva. I risultato più interessanti, dal punto di vista filosofico e artistico, di questa ansia generale si ebbero in Inghilterra, dove tutti gli stimoli suddetti (dalla Blank Generation alla perversione di questa nuova società post-industriale) vennero reinterpretati in modo originale e quanto mai inaspettato.
5. Nascita del Punk
Punk è un termine inglese (che come aggettivo significa “di scarsa qualità”, “da due soldi”) nato per identificare una subcultura giovanile emersa nel Regno Unito a metà degli anni ’70 e che prende le mosse dalla “Blank Generation” americana, nonostante ne prenda abilmente le distanza in alcuni punti-chiave. Innanzitutto in Gran Bretagna la componente sociale e politica del fenomeno si dimostrò, comunque, molto più forte che negli Stati Uniti, oltrepassando lo stadio di malessere generico, per assurgere a rango di vera e propria catastrofe. Il ferreo governo di Margaret Thatcher aveva evitato al paese di scivolare nel Terzo Mondo, ma aveva causato gravi danni al tessuto sociale delle città industriali, dove la disoccupazione e la povertà raggiunsero livelli senza precedenti. Ma le differenze tra il Punk Britannico e quello Americano furono anche qualitative e quantitative. Negli Stati Uniti il malessere generazionale era molto più diffuso, ed erano molti gli adolescenti frustrati che si identificavano con il sentimento espresso dalla Blank Generation. In Gran Bretagna i teppisti erano pochi, ma quei pochi raggiunsero livelli di estrema violenza. Negli Stati Uniti le masse ignorarono il fenomeno e non fu mai apprezzabile essere paragonato ad un delinquente. In Gran Bretagna il fenomeno raggiunse le masse e divenne presto di moda sfoggiare creste colorate, spille da balia, magliette bucate e stivali militari. Ma soprattutto fu proprio questo acuto senso di un apocalisse imminente che caratterizzò un tipo d’ansia che in Inghilterra aveva smesso di essere “senza-nome” e che si andava caratterizzando come la profezia di un futuro crollo della società e delle sue convenzioni, sentite come ipocrite.
6. God Save the Queen
Il testo della canzone qui presentato è uno dei pochi veramente significativi della musica Rock, e racchiude tutte le caratteristiche filosofiche del movimento Punk così come era percepito in Inghilterra. Si tratta del secondo singolo della band “Sex Pistols”, registrato nel 1976 e venne presentato in coincidenza con i festeggiamenti per il giubileo d’argento della regina Elisabetta II. Nonostante il ferreo bando imposto da tutti i patrioti indignati, il brano, presentato su un battello che scese il Tamigi durante un party notturno, conquistò subito i primi posti nelle classifiche di vendita.
God save the Queen, Dio salvi la Regina, the fascist regime, e il regime fascista, they made you a moron, ti faranno diventare stupido, a potential H-bomb. (ti trasformeranno in) una potenziale Bomba H
God save the Queen, Dio salvi la Regina, she ain't no human being. Non è un essere umano. There is no future Non c’è futuro in England's dreaming. Nel sogno Inglese.
Don't be told what you want Non farti dire quello che vuoi, And don't be told what you need, Non farti dire quello che ti serve, There's no future Non c’è futuro there's no future Non c’è futuro there's no future for you! Nessuno futuro per te!
God save the Queen, Dio salvi la Regina, we mean it man, dico davvero, we love our queen, amiamo la nostra regina, God saves… Dio la salvi…
God save the Queen, Dio salvi la Regina, 'cause tourists are money, perchè I turisti sono denaro and our figurehead e il volto sulla nostra moneta is not what she seems. Non è quello che sembra
Oh God save history, Oh Dio salvi la storia, God save your mad parade, Dio salvi la vostra folle parata, Oh Lord God have mercy Oh Signore Iddio abbi misericordia all crimes are paid! Tutti I crimini sono stati pagati!
When there's no future Quando non c’è futuro how can there be sin? Come può esistere il peccato? We're the flowers Noi siamo i fiori in the dustbin! Nella pattumiera! We're the poison Siamo il veleno in your human machine! Nella vostra macchina umana! We're the future, Noi siamo il futuro, you're future! Il vostro futuro!
No future Nessun futuro no future for you! Nessun futuro per te! No future for me! Nessun futuro per me!
7. La Filosofia Punk
Il testo della canzone, nonostante le pretese di analfabetismo degli autori che la composero, si presenta estremamente complesso dal punto di vista interpretativo, poiché capace di comprimere in pochi, rudi versi, una filosofia assolutamente innovativa che si era andata diffondendo quei tempi in ambito Londinese (ma che poi avrebbe, in ogni caso, contagiato tutto il resto del mondo). Ad una prima lettura si presenta come una semplice satira della politica anglosassone e, in particolar modo, della Casa Reale: quel “Dio salvi la Regina e il regime Fascista” è già di per sé un’accusa molto dura, a cui si vanno ad aggiungere piccole frecciate cariche di ironia (“amiamo la nostra Regina”) e rabbiose sentenze assolutamente dispregiative ( “non è un essere umano”). Ma, andando a guardare più in là, notiamo come verso la metà il tono medio cambi, e il gruppo perda di vista i semplici parametri dell’accusa politica per gettarsi in una distruttiva profezia di Nichilismo radicale. Quel “non farti dire quello che vuoi e quello che ti serve” può essere sia un incitamento all’anarchia estrema, sia un accusa nei confronti della società dei consumi e dei media, capaci di creare dal nulla finti bisogni per l’uomo comune che si trova, in questo modo, a divenire uno schiavo in un meccanismo malato. Ma di quale “meccanismo malato” stiamo parlando? Prima di tutto della Storia: quella “folle parata” dominata dai potenti, capaci di pensare solo al loro interesse a scapito dei bisogni del resto dell’umanità e che non è maestra di nulla, se non di inutili massacri e di morte senza scopo. Secondo poi del denaro, altra menzogna capace di piegare gli uomini senza condurre in alcune luogo. Ma, soprattutto, la “malattia” per eccellenza che ha infettato la “macchina umana”, per un Punk, è la società stessa. Sia essa comunista, socialista, dispotica o liberale, una società “civile” è di per sé solo una menzogna, con la quale gli uomini ipocriti hanno voluto nascondere il loro intimo desiderio di piegare al loro volere (e con il solo uso della forza bruta) tutti gli altri esseri più deboli. La società è quindi solo una maschera, uno specchietto per le allodole: l’uomo, considerato uguale a tutti gli altri animali, vive solo per soddisfare tutte le sue passioni più brade, ma, vergognandosi di ciò, si costruisce un identità falsa che lui ritiene più socialmente accettabile. Ma c’è una soluzione a tutto ciò? No, se non il crollo della civiltà stessa e delle regole che la dominano. Quella frase estremamente inquietante “Signore Iddio abbi misericordia perché tutti i crimini sono stati pagati”, che può apparire semplicemente come una blasfemia da parte di un gruppo di nichilisti estremi, è in realtà una vera e proprio “preghiera” affinchè una società sentita come, ormai, moribonda crolli il più rapidamente possibile e che, quindi, “giustizia” venga fatta. Ed è qui che entra in gioco un altro fattore determinante per comprendere questa filosofia: la predestinazione insita nel concetto di “società civile”. Come per Marx la società borghese aveva già al suo interno i germi che l’avrebbero condotta alla fine, allo stesso modo per un punk, la civiltà è destinata al suo smantellamento in ogni caso, proprio per questa capacità, tipica dell’umanità, di distruggere quanto si è creato in un’insaziabile sete di potere. In questo inarrestabile meccanismo di futura “fine del mondo” i Punk occupano il posto di profeti, quasi di “prime rovine” in un disastro che si annuncia imminente. Tutta una serie di affermazioni del testo suddetto si riferiscono proprio a questo: in un mondo senza futuro si trova a non necessitare più di alcun riferimento morale (“quando non c’è futuro, come ci può essere peccato?”), e se la società è malata alla radice i Punk rappresentano necessariamente i portatori di una verità rigenerante (“siamo il veleno per la macchina umana”) oltre che essere, paradossalmente, i “puri” della situazione, gli unici che si sono resi conto della drammaticità della situazione (“siamo i fiori nella pattumiera”). Ma, più di tutto, sono il futuro, l’unico futuro possibile per noi tutti. Il finale della canzone è apocalittico e catartico allo stesso tempo: il grido “No future” (nessun futuro) è l’unico slogan possibile per un destino che è solo di morte e distruzione. E’ molto interessante (o, forse, è solo inquietante) notare come i germi di questa coscienza collettiva non solo chiusi, come ho già è stato detto, in quella barriera temporale, ma si preservano nelle menti di tutti le generazioni successive a quella strettamente Punk, tanto che possiamo a ragione affermare che, dove l’utopismo Hippie aveva fallito e aveva finito per piegarsi alle regole del Sistema, la visione apocalittica tipica della Blank Generation e del Punk si è mantenuta intatta ed è andata, in modo assolutamente inaspettato, a creare addirittura una nuova estetica che in modo sempre più vivo si presenta all’interno del contesto culturale moderno.
8. L’Estetica Punk e il Post-Modernismo Il nascere di questo nuovo sentimento di disfatta più completa nei confronti di una società sempre più vile e ipocrita, favorì l’affermarsi, addirittura, di una nuova estetica. Già tra le due guerre, il lavoro di intellettuali anglosassoni come Adous Huxley e George Orwell, aveva minato in qualche modo la certezza di poter, un giorno, costituire una società perfetta. Il concetto di “Utopia”, che era stato alla base dei maggiori sistemi filosofici Occidentali, da Platone a Tommaso Campanella, allo stesso Marx e al pensiero comunista in generale, è sempre più vista come un astrazione intellettuale, e viene sopraffatta da questa certezza di un’inevitabile Apocalisse pronta a spazzare via tutte le ideologie e le leggi morali. Contemporaneamente, e in particolar modo nell’ambito della cultura popolare di basse pretese, si va costituendo una sempre maggiore attenzione verso la corporeità. Il corpo umano è osservato da vicino, descritto in tutti i suoi aspetti, con un particolare enfasi sui rifiuti dello stesso: sangue, sudore, feci, organi e bile, diventano simboli della stessa assurdità delle pretese umane, della stessa ipocrisia dell’uomo che, dietro un aspetto “pulito”, nasconde dentro di sé un mondo fatto di putredine (vista come riflesso dei desideri più bestiali che ogni giorno cerca di reprimere. Il genere horror, sia in letteratura che al cinema, di quel periodo attinge a piene mani da questa nuova estetica, con film come “Hellraiser” di Clive Barker o “Nightmare” di Was Craven, per non parlare dei fumetti, che finiscono per diventare un reale specchio di un tipo di pensiero che possiamo definire “punk”, con opere come “Transmetropolitan” di Warren Ellis e Darick Robertsone o “Invisibles” di Grant Morrison. I giovani autori, immersi fino al collo in questo nuovo tipo di estetica, non si astennero dal trasformarla in un vero movimento artistico programmatico: esempi di tutto ciò sono il surrealismo “carnale” dei corto-metraggi del regista ceco Jan Svankmajer, o i primi film del canadese David Cronenberg, o, ancora, i fantasy allucinati di Terry Gilliam e Tim Burton. Da un ideale fusione tra il suddetto pessimismo storico radicale e questa estetica “del corpo” nasce il Post-Modernismo, inteso in senso moderno. Il Post-Modernismo si caratterizza basilarmente come un movimento che coinvolge tutte le arti (ma in particolare il cinema e la letteratura) di stampo anti-decadente e anti-avanguardista. Anti-decadente nel senso che l’artista, prima ritenuto come l’unica persona capace di innalzarsi al di sopra della volgarità della cultura da massa, oggi si trova ad essere, in qualche modo, un ingranaggio fondamentale del capitalismo e del consumismo e, conscio di non potersi più ribellare da una situazione oramai irreversibile, si limita a descrivere ironicamente e lucidamente una società sull’orlo dello sfacelo. Anti-avanguardista poiché, anche in questo caso, il movimento è ben conscio dell’impossibilità di fare tabula rasa del passato e di tagliare i ponti con le estetiche precedenti. La storia, come si è detto, per i post-moderni non è soltanto un monumento alla sconfitta di qualsiasi ideale di progresso reale, è anche una sorta di inevitabile “maledizione”, da cui è impossibile prendere le distanze e che torna a tormentare il presente con le sue ombre passate, come è ben esemplificato da quella magistrale opera a fumetti che è “From Hell” di Alan Moore e Eddie Campbell, una sorta riflessione attuale sul mito di Jack Lo Squartatore, visto come ideale “anticipatore” del Ventesimo Secolo La stessa complessità del mondo attorno a noi diventa un motivo di riflessione primaria nelle opere post-moderne, unita a una consapevolezza di irrimediabile immobilismo sociale e ad un relativismo cognitivo di stampo Pirandelliano, che sono frutto del fallimento delle ideologie post-muro di Berlino. Gli autori letterari che meglio di tutto sono stai capaci di raccontare in modo post-moderno la seconda metà del secolo scorso, nonché questi primi sprazzi di Ventunesimo secolo sono: -Kurt Vonnegut -Philip K. Dick -J.G. Ballard -Thomas Pynchon -Don DeLillo -David Foster Wallace.
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