La favola della stella di mare
Considerando la citazione di Murakami (“se voi leggete soltanto i libri che tutti stanno leggendo, voi potete pensare soltanto ciò che tutti gli altri stanno pensando”) si potrebbe sostenere che l’attuale situazione politica italiana corrisponda alla perfezione a quella del mondo mentale in cui vivono Fabio Volo, Maurizio Gramellini, Luciana Litizzetto, Bruno Vespa e il resto della compagnia cantante che vi guarda dagli scaffali delle librerie, che ben giustifica il fatto che il nostro paese abbia raggiunto nel 2013 il penultimo gradino in occidente come indice di lettura. L’ultimo paese è il Guatemala, la nazione più violenta e degradata del continente americano. Il Censis ha sintetizzato lo stato della nazione definendoci un “paese sciapo e infelice”. Considero questa definizione come la caratteristica di ogni etnia che abbia dimenticato il piacere del racconto, il gusto per la narrazione, la volontà di conoscere mondi mentali altri attraverso la lettura di romanzi. I dati ufficiali parlano chiaro: negli ultimi quindici mesi sono stati pubblicati e distribuiti circa 800 nuovi titoli relativi alla crisi economica, scritti da economisti, giornalisti esperti in materie economiche, aspiranti economisti, economisti professionisti, economisti dilettanti.Inevitabile sentirsi sciapi e infelici.E’ il risultato di una diabolica e ben ideata trappola del potere oligarchico che si è avvalso della indispensabile collaborazione della cupola mediatica per far credere agli italiani che la crisi nella quale il paese è precipitato sia di natura economica. Non lo è.Se così fosse, quella minima percentuale (8%) che possiede il 72% della ricchezza collettiva, già da lunghissimo tempo avrebbe preso i componenti dell’intera classe politica dirigente, li avrebbe legati con una fune, li avrebbe buttati nel mare Mediterraneo con un bel calcione e li avrebbe sostituiti con altri soggetti in grado di varare le necessarie riforme per la ripresa della nazione.Invece, questa classe politica è stata, ed è tuttora, perfettamente funzionale ai loro interessi.Tanto è vero che gli stessi dati del Censis ci informano che il 6% della popolazione italiana (i più ricchi, tanto per intendersi) nel 2011 hanno aumentato la propria quota di ricchezza nell’ordine dell’ 11% rispetto al 2010; nel 2012 del 17% e in questo 2013 viaggiano verso un pimpante 23%, poichè, le loro tasse si sono abbassate del 9% e godono di nuovi incentivi, sconti, privilegi.L’Italia, come nazione, è la terza al mondo (dopo il Giappone e la Gran Bretagna) come quantità di consumo interno nel genere lusso (gioielli, mobili antichi, automobili da 80.000 euro in su, yacht da diporto, compravendita di immobili di prestigio, alta moda firmata, collezionismo, arte antica e moderna) e prima al mondo sia come volume d’affari che come quantità di prodotti venduti nella sezione “alta qualità del consumo interno nel genere lusso”.L’Italia è ancora la più ricca nazione d’Europa, con il più alto numero in assoluto di miliardari e la più vasta quantità di depositi bancari del continente, che superano un milione di euro in risparmio contante. La composizione sociale di questa classe anonima è molto diversa rispetto a 30/40 anni fa, quando la matrice aristocratica, insieme al patrimonio familiare, tramandato attraverso i secoli, svolgeva ancora un ruolo importante in campo finanziario, economico, produttivo e investiva nella cultura. Tra tutte le nazioni ricche d’occidente (le prime 20) l’Italia è oggi quella con la più bassa e triste percentuale di investimento da parte dei ricchi nel campo dell’editoria, del cinema, del teatro, della ricerca scientifica, dell’arte, insomma della cultura e dell’innovazione. Quasi nulla: viaggia intorno a un 1% (in Usa è il 26%, in Francia è il 29%, in Gran Bretagna è il 22%).A mio modesto parere, si trova in questa analisi scomposta dei dati la chiave della infelicità.E’ stato calcolato che negli ultimi 30 anni c’è stato un sommovimento di capitali familiari dell’ordine di circa 5.000 miliardi di euro che hanno dato vita a nuove famiglie e dinastie la cui caratteristica principale consiste nella scelta di non investire in attività culturali e scientifiche. Il motivo è semplice e banale: sono territori che non frequentano, sono dimensioni che non praticano, sono spazi mentali che non si sono mai insediati nella loro mente.La corruttela è il loro più grande alleato, poichè, grazie alla diffusione di massa della corruzione sia istituzionale che privata, si sono assicurati la garanzia di un crollo della domanda interna sia di cultura che di arte e di scienza. Non essendoci offerta, poco a poco la domanda ha cominciato a diventare sempre più timida, si è poi trasformata in una caratteristica a dir poco eroica, e alla fine è svanita nel nulla.Da qui, secondo me, il sapore sciapo dell’esistenza degli italiani.Questa nazione vive ormai dando per scontato che si può esistere senza grandi romanzieri, grandi registi, grandi pittori, grandi fotografi, grandi designer, grandi architetti, grandi intellettuali, grandi ingegneri, grandi scienziati. Tutti questi esistono pure, ne sono sicuro, il genio italiano creativo è un fatto e un dato reale della nostra splendida e martoriata etnia, ma vivono suddivisi in due ampie fasce: quella degli auto-esiliati all’estero, dove vengono sempre apprezzati e riconosciuti e quella dei clandestini invisibili in patria.La crisi economica, quindi, è il risultato di una crisi di valori, forse pianificata, voluta, architettata in maniera strategica (o forse no) che ha portato all’accumulo di ricchezza e alla sottrazione di capitali di qualità da investire nel mercato interno.L’Italia non scomparirà, finirà per diventare come l’Arabia Saudita dove il 2% della popolazione possiede il 97% della ricchezza collettiva e il 98% della popolazione se la deve cavare distribuendosi il 3%.Questa è la tendenza in atto nel nostro Paese. E ci vogliono far credere che sarà una teoria economica (e perfino una teoria monetaria) che risolverà i problemi.L’Italia può uscire domattina dall’euro, uscire dalla Unione Europea, staccarsi con una sega dalle Alpi diventando un’ isola: non cambierebbe nulla. Perchè non è quello il problema.Il vero problema è la scomparsa dei valori di riferimento culturali trainanti, la genesi di un immaginario collettivo analfabeta, privo di sostanza ma pieno di illusioni, la rinuncia, da parte dei soggetti politici, dei partiti, dei sindacati, a chiedere e pretendere l’unica risposta sensata, pragmatica, efficace: una redistribuzione immediata e più equa della ricchezza nazionale, esigendo che coloro che detengono la ricchezza investano sul territorio nazionale, a lungo termine, nei campi strategici della ideazione e della manifattura italiana, dall’arte all’agricoltura, dalla scienza all’innovazione.Per far ciò non c’è bisogno di leggi, è necessario un cambio di passo nella prospettiva, alimentando la mente che compone l’immaginario collettivo del paese di nuove suggestioni.La doppia aggettivazione del Censis (non a caso passata in cavalleria senza neppure una intervistina di due minuti ai ricercatori che l’hanno condotta, chiedendo loro ulteriori dati a suffragio della statistica) quella del paese “sciapo e infelice” è stato un input forte e poteva e doveva essere una buona occasione di riflessione collettiva, chiamando la classe dirigente imprenditoriale ad assumersi le proprie responsabilità. Senza investimento nella cultura e nella scienza, senza redistribuzione della ricchezza operativa, che non peschi soltanto nelle clientele partitiche, questo paese non ha neppure una probabilità su cento di riprendersi mai. E non serve a nulla leggere avidamente interminabili serie di grafici, numeri, teorie, statistiche proiettive, se non si comincia ad modificare le sinapsi del proprio immaginario collettivo, sottraendosi alle sirene ormai sfiatate della cupola mediatica, che impone ormai il veleno della falsa idea di una crisi economica che sta producendo sfracelli.C’è una salda oligarchia al comando che se la passa benissimo, che è contentissima di come vanno le cose e che investe la propria energia e quattro soldi quattro per abbassare il livello e far sì che non parta mai la domanda.Così in Italia, oggi.Ma esistono luoghi dove una poderosa crisi economica è stata affrontata in maniera diversa.Circa una decina di anni fa, in Sud America si è verificato un modesto (e davvero minimo) evento antropologico che poco a poco ha cominciato a gonfiarsi, finchè non è dilagato diventando mainstream e provocando una vera e propria rivoluzione sociale.E’ iniziato con un articolo piccolo piccolo anche banalotto, intorno al 2005, quando il default dell’Argentina aveva provocato un’onda d’urto in tutto il Sud America e il Fondo Monetario Internazionale stava con il fiato sul collo per imporre misure di austerità massicce.Su un quotidiano peruviano era apparsa una storia popolare raccontata da una giovane, che sosteneva provenisse dalla tradizione del folclore locale. Quella storiella era piaciuta e la gente l’aveva ripresa e commentata e si era diffusa. Ne aveva parlato anche la televisione. Dopo qualche mese, in Bolivia, era uscito un articolo su un quotidiano locale in cui si sosteneva che quella storiella fosse molto antica e la paternità veniva attribuita agli indios Quechua. Dopo un po’, i cileni protestarono sostenendo che non era vero nulla. Quella storia era famosissima e apparteneva alla tradizione degli indios Araucanos. La dimostrazione (sostenevano gli antropologi cileni) consisteva nel fatto che la storia si svolgeva sulla spiaggia di un oceano e in Bolivia l’oceano non esiste. Dopo un po’ intervennero due scrittori argentini sostenendo che la storia proveniva dallo Stato di Jujuy nell’estremo settentrione e apparteneva alla tradizione folcloristica degli indios Wichi. Ne nacque una zuffa tra storici, antropologi, scrittori, alla quale l’intera popolazione del Sud America partecipò dicendo la propria. E intanto, la storiella veniva diffusa, commentata, discussa: era ritornata in vita come patrimonio culturale locale. Finchè il grande romanziere Mario Vargas Llosas, nel suo discorso di premiazione per il Nobel a Stoccolma, ci mise la firma raccontando la storiella come “una antica storia Inca”. Ci furono borbottii nazionalistici locali finchè con un colpo d’ala di grande abilità politica, un giorno la presidenta argentina Cristina Kirchner la usò in un celebre comizio, sostenendo che questa storia è una storia sudamericana che appartiene a tutti i popoli dal Venezuela al Polo Sud, questa storia è di tutti noi ed è il simbolo della nostra ripresa perchè dimostra che non sarà la crisi economica ad abbattere le nostre esistenze ma saremo noi ad abbattere la crisi economica attraverso l’applicazione della cultura del nostro territorio, del nostro folclore, delle nostre tradizioni, che servano per pungolare i ceti più abbienti affinchè provvedano ad occuparsi dei ceti più bisognosi per riprenderci insieme. Questa storia è il simbolo della nostra ripresa ed è la nostra risposta al Fondo Monetario Internazionale. Questa soluzione salomonica piacque a tutti. La storia è diventata poi un fumetto, un cartone, ed è finita nei nuovi libri per le scuole elementari di tutto il continente con la dizione “un’antica storia del passato sudamericano per il futuro del Sud America”.Ecco il contenuto della storia:
“Una coppia sta facendo una passeggiata sulla spiaggia, in una giornata tiepida con un forte sole e senza vento. Fino al giorno prima c’èra stata tempesta e ampie mareggiate. La spiaggia oceanica è costellata di stelle marine che le onde potenti hanno vomitato sulla battigia. La donna prende a un certo punto una stella marina e la ributta in acqua. L’uomo le chiede: “che cosa fai?”. E lei risponde: “E’ un animale vivo, anche se invertebrato è pur sempre un animale, fuori dall’acqua sopravvive per almeno due giorni, è ancora vivo. Se ne muoiono tante si spezza l’equilibrio armonico della natura”. L’uomo non dice nulla. Proseguono nella loro passeggiata e ogni tanto lei ne sceglie una e va a rimetterla nell’acqua. A un certo punto, l’uomo le dice: “Tu sei matta! Non penserai mica di produrre una qualche differenza per il fatto che rimetti in acqua qualche stella marina! Che differenza fa?”.Lei lo guarda e gli dice: “Prova a chiederglielo a quelle stelle marine se fa o non fa differenza!”.
Fine della storia.
Questo antico racconto della civiltà Inca è diventato in Sud America il nuovo mantra della società post-Maya basata su un nuovo comportamento collettivo di solidarietà che privilegia le esistenze ai numeri, che ricorda l’unicità della vita delle persone rispetto ai grandi numeri della matematica e della statistica usati dagli economisti.
Questa mattina, alle ore 10, l’organizzazione internazionale “Save the children” ha sconvolto l’audience mondiale comunicando che nella Repubblica Italiana esistono 1 milione di minorenni che vivono in uno stato di povertà assoluta e non hanno da mangiare. A questo, si è aggiunta la notizia che negli ultimi 20 mesi, in Italia, si sono creati circa 5 milioni di nuovi poveri. Sono nostri concittadini.Sono le stelle marine che la potente onda iper-liberista ha gettato sulla spiaggia della nostra esistenza sociale.
Invece di perdere tempo ad ascoltare ricette economiche, cerchiamo di cominciare a modificare il nostro comportamento interiore per attuare quella necessaria rivoluzione culturale senza la quale non avverrà mai nulla.
Ciascuno a modo proprio, a seconda del proprio gusto, fantasia, creatività e possibilità, dovrebbe prendere una stella marina e ributtarla nell’oceano, seguendo la storiella Inca.
di Sergio Di Cori Modigliani